Scellerate di Antonella Finucci

Recensione di Guido Borà. In copertina: “Scellerate” di Antonella Finucci, Radici Edizioni, 2025
Quando Maria (Agamben) Federici, nata a L’Aquila nel 1899, si immatricolò all’Università Sapienza di Roma, il rapporto tra iscritti di genere maschile e femminile era di undici a uno. Ancora, quando Filomena Delli Castelli, nata a Città Sant’Angelo in provincia di Pescara nel 1916, intraprese il suo percorso di studio all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, lo stesso rapporto, seppur in diminuzione, era sempre troppo elevato: 6 uomini per ogni donna iscritta. – Per la cronaca questo rapporto da qualche anno si è rovesciato e nel 2023 era di 1,3 donne per ogni uomo iscritto. – Maria Federici e Filomena Delli Castelli erano tra le ventuno “Madri” dell’Assemblea costituente e anche in questo consesso istituzionale il rapporto con gli uomini era sfavorevole: una donna ogni 15 uomini.
Tornando a vicende a noi più vicine, dalla lettura del Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne 2021-2027, aggiornato lo scorso luglio, si apprende dell’esistenza di un Obiettivo 4 intitolato “Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”, ossia un’esplicita presa d’atto del destino ineluttabile di alcune aree che “non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse”. Questa parziale ammissione di fallimento dà ragione al lavoro dell’antropologa Anna Rizzo, palermitana d’origine, che da oltre dieci anni segue la riqualificazione della frazione di Frattura di Scanno in provincia dell’Aquila, da sempre critica dell’attuale impostazione del PSNAI.
Queste donne sono protagoniste, insieme a tante altre, del bel saggio di Antonella Finucci, Scellerate, e hanno in comune un rapporto simbiotico con l’Abruzzo, con il suo territorio, con la sua vibrante cultura, con la sua gente, con la sua storia. Una terra dal fascino antico, per la maggior parte montuosa, ma allo stesso tempo, sul mare dove il paesaggio gioca un ruolo cruciale. Una terra sconquassata da forti terremoti: nel 1915 Avezzano e il circondario furono colpiti da uno dei più forti terremoti italiani di sempre in ordine di magnitudo con più di 30mila morti. Una terra a cui è stata inflitta la grande ferita dalle emigrazioni: dal 1888 al 1915 partirono oltre 1milone e 300mila persone.
Tra le protagoniste che abitano il volume, c’è chi è partita ed è tornata, chi non se n’è mai andata e chi ha scelto l’Abruzzo come luogo di elezione. Ne cito solo alcune per non spoilerare troppo: Tripolina D’Jatosti sopravvissuta al terremoto di Avezzano, dopo essere diventata ballerina di punta all’Opera di Parigi, nel 1965 ritornò al paese natale e aprì una scuola di danza, un luogo che diventò un’oasi di libertà per le donne. Mirka (Asmerinda) Liberale moglie dell’attivista politico, poeta e scrittore Romolo, fu protagonista nell’infanzia di un atto coraggioso – portò di nascosto del cibo a dei prigionieri di guerra – ed è stata una donna attiva in politica e nel partito.
Daniela d’Arielli, poliedrica artista contemporanea, ideatrice, tra i tanti, di un importante progetto legato all’acqua denominato e.r.c.o.l.ae Experiment resurgent cult organism liquid æ (what the title doesn’t say). Lia Jovenitti, traduttrice in lingua italiana di alcune opere della scrittrice sudcoreana Han Kang, vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura 2024. Natalia Ginzburg fu confinata a Pizzoli in provincia dell’Aquila dal 1940 al 1943, definito da lei stessa il “tempo migliore della mia vita” senza esserne al tempo consapevole. Adele Garzarella geografa, geologa e paleontologa dell’Ispra da alcuni anni si è dedicata di geologia militare che l’ha portata a studiare le vicende della linea Gustav.
Nei racconti di Antonella Finucci, densi di collegamenti interdisciplinari, pulsano sottotraccia temi rilevanti: l’emancipazione, quasi sempre in anticipo sui tempi, le pari opportunità, la determinazione di essere indipendenti, il perseguimento della libertà individuale, il tentativo di rompere il soffitto di cristallo, la creazione artistica, la realizzazione professionale, la possibilità di scegliere il luogo dove vivere. Ma queste istanze sono davvero da donne Scellerate? Il titolo Scellerate, un aggettivo piuttosto insidioso, polisemico sempre in termini negativi, avrebbe potuto essere il punto di debolezza del volume mentre invece è diventato il punto di forza.
Come recita la quarta di copertina l’uso di questo aggettivo è “iperbolico”. A mio avviso, tuttavia, l’ambiguità potrebbe dipendere dai punti di vista: se eteronomo, ossia visto da una prospettiva maschilista o conservatrice, Scellerate è sinonimo di un atto inaccettabile, irricevibile ma se autonomo, ossia dalla prospettiva femminile o progressista, diventa una dichiarazione di orgoglio, di appartenenza, di amore.
Immaginate un cielo notturno costellato di stelle scintillanti: questo libro possiede la stessa forza evocativa, con un respiro autenticamente universale.
