Quanta poesia dovrà morire

Quanta poesia dovrà morire

“Quanta poesia dovrà morire” di Mimì Burzo. In copertina una foto scattata ed elaborata dall’autrice

Il mattino riverbera nell’inconsistenza
la parola si sgretola come mollicuzze tenute
in sospeso fra la mano e il becco di un canarino

Comporsi di respiri e virgole
porta ogni significante all’insignificanza
di una persiana rotta in un giorno di arsura

Ogni goccia e ogni attimo accadono
nella fissità del chiodo che macella l’invisibile
ogni foglia è un sospiro piangente che cade al di qua
della meraviglia

Saper accadere stanca
è un atto estenuante
non si può mettere in vetrina il cedimento, la sgretolazione, la stonatura caustica di una coscienza che
sapendosi rompere è stanca di ricomporsi

Sono davvero poche le cose che si possono fare con la poesia
a meno di non riempire vasi di asfalto con fiori idrocarburici
patinati e plastificati di un nulla che si taglia a fette

Nella mancanza di reazione
nella guerriglia sui social
nello zittire quotidiano, regna la guerra
Per non sentirsi disarcionati dall’autenticità che non ha scopo se non l’autenticità stessa

Scrivere mi fa paura
e il sentimento è assai complesso
ci sono mondi in cui si vive nella paura senza aver paura
e mi muoio addosso nella loquacità di giorni tutti uguali
schiacciata dal margine dell’ovvio
dall’ignoranza delle donne
dalla carcassa delle lucciole cadute ai miei piedi
affondati nella rena friabile di una ragion d’essere
per metà umana per metà farfalla
chiusa in un labirinto sospetto
di fame e digiuno
voragini e cascate di fiori sempre vivi in mancanza di acqua
fra il dubbio e l’occasione di accadere nel nulla del senza niente

… quanta poesia dovrà morire…

Fra il dubbio e l’incertezza
e l’inutilità del gesto quotidiano che mi strozza
nell’ovvio di una poesia mancata
arrestata, segregata nel posto in cui me è vastità
è oceano e giugno e lutto

È un gioco di assenze
dove la dimensione del tempo finisce e tutto diventa un luogo idoneo ad una transizione di stato
Uno stato del dove in cui il punto si appoggia
sul gesto fortuito della possibilità dell’impossibilità
nell’accadere dinamico di una bestia abbozzata

Siamo solo bozze di noi stessi
moncherini di coscienze azzardate
accadimenti perduti nel vuoto di un eterno ritorno
di assenze prefigurate in una vasca di surrealismi e di accidenti e di didascalie come lame disossatrici
per abiti abbandonati nella privazione dell’anima sottratta all’intelligenza

Eppure, nell’intelligenza regna il tutto del limite lungo una boscaglia di libellule canterine
appoggiate qua e là sul ramo del supplizio
specchio coeso e ghirlanda splendente di occasioni perdute nell’autenticità di un gesto morente un attimo prima di discernere l’accadere dall’accaduto

Quanto vuoto ancora dovrò attraversare
prima del verbo, prima del compiuto
prima che la testa cada in frantumi e finisca di girare immobile sul collo

… quanta poesia dovrà morire…

quante volte dovrò appassire
quante garze arrotolarmi sul pianto rotto che mi lacera il dentro senza mai uscire
senza mai aprire quella botola per troppa delicatezza per chi piange dall’altra parte

Per gli interpreti che si caricano di ormoni
eppure incapaci di cogliere senso e traversare di anime inconsistenti e biglie di opposti
che rotolano lungo il viale della follia
sospinti verso un buco quantico
da scariche di cortisolo, adrenalina e lo scalpitare di una giumenta stanca arrivata sull’orlo del mare
sull’orlo del tramonto
sull’orlo della libertitudine

sull’urlo della violenza
sulla manipolazione dei sensi e della musica
tutta raggomitolata fra la fragilità dell’essere e la debolezza dell’umano

Stendere ossa di coscienza
portarsi al mercato
fare la spesa fra colori sgargianti e il rumore del traffico che non cessa mai
neanche di notte
neanche all’alba
si scivola sull’asfalto bagnato, se solo piovesse.

Quanta erba dovrò ancora mangiare
prima di tornare a brucare un angolo di cielo
sola, così come sono
metà bestia metà farfalla
frattale di infinite intenzioni affastellata
al margine del sole
splendida controvento
capace di comprendere l’incomprensibile eppure fiume annegato nell’incapacità di farmi comprendere

Si millanta libertà
si ottiene solo una forchetta ben infilata nell’avambraccio

Si millanta, si ostenta, si blinda la spina per il gusto dell’irraggiungibilità
covando trincee di terracotta per dire forza
per dire coraggio, per gli allergici agli abbracci
ai viaggi, alle riconciliazioni

Si mastica ancora il dolore di Amelia Rosselli
onniscienti, critici, padroni della convinzione di sapere di sapere
mi chiedo in quanti sarebbero capaci di masticare il dolore di quelle vive
di quelle vestite di riserbo per il male che ghettizza e isola

Per voi che non sapete cosa sia la giostra della follia, il dolore della consapevolezza, il peso dell’abbandono e dell’etichetta

Dubito che sposereste mai una donna schizofrenica
una divisa su tre livelli di coscienza
e non la lavereste mai quando il dolore rende impossibile da sollevare anche una semplice saponetta
Quando la doccia fa paura solo perché è una cabina chiusa e l’acqua soffoca e la schiuma brucia

… quanta poesia dovrà morire…

Quando sei solo carne cruda esposta al sole
quando bruci per l’ignoranza
quando il mondo si muove ed è solo una marionetta

C’è un orrore più sottile dell’orrore
la certezza del sapere
la guerra umana di chi ha perso il senso del nessuno
pur di arroccare dietro la comoda idea di un qualcuno

C’è un orrore più sottile della guerra
la partecipazione falsa
la trincea di un comodo salotto e la coscienza protetta dai cuscini del divano

Si amano le carcasse, i cimiteri, chi fu e ciò che è stato e così si inganna l’incapacità di vivere nel dolore presente.

Nulla vale la mischia
nulla vale l’ignoranza
per chi sa che un abbraccio non si elemosina e l’affanno non è dei muli
ma un affare dell’essere una donna

E così la parola si schianta
il linguaggio si sgretola
l’isolamento diventa mania

Certa che l’autenticità valga più di un’arma
che spesso ammazza ma non lo fa apposta

Non lo ha mai fatto apposta

Voleva solo esistere,
musica sul palmo di una mano blu cobalto

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