Postilla di Aspide
Articolo di Antonio Maria Porretti
Con i suoi trionfi di luccichi, baluginii, riverberi e abbagli, ecco una nuova estate dispiegare le sue vele roride di sole all’orizzonte. Ecco la sovrana dell’allegria più ridanciana, della spensieratezza più festaiola, della serenità più cicaleccia e ciarliera, offrire le proprie estremità roventi al bacio devoto dei suoi trepidanti fedeli. L’attesa è dunque terminata. Il primo solleone è già scoccato. L’ouverture di una sinfonia che si rinnova con granitica precisione di tempi e movimenti, anela di essere eseguita. E nella collosità di una coesione a cui neppure due gemelli siamesi sarebbero in grado pervenire, il desiderio, la foga, la smania di condivisione, si apprestano a salire sui tapis roulant delle nostre esistenze virtuali. Che nessun dettaglio vada trascurato o perso; giammai! Le comunità dei followers dev’essere mantenuta e fidelizzata dalla costanza di aggiornamenti a ogni ora del giorno e della notte, affinché possa assaporare, fra indicibili spasmi di ammirazione e commozione, il gusto della scoperta; l’ebrezza di ampliare e arricchire con il sopraggiungere a rotta di collo di nuove preziosità, i tesori di una mai troppo edotta conoscenza.
Dovrebbe essere sancito dalla Costituzione, il diritto di apprendere quale pietanza, bibita e bevanda, sorbetto o altro manufatto di gelateria, ciabatta, infradito, sandalo, bermuda, prendisole, pareo, bikini o costume intero, monile, berretto, visiera, cerchietto, capéline in paglia, eccetera eccetera… si alleeranno e abbineranno alle fattezze filtrate di nostri contatti che un posto al sole se lo cercano ogni beneficato giorno da Pater Facebook che sei nei cieli, vieppiù quando si tratta di orazioni e salmi vacanzieri. D’illuminarci con profluvi di foto sul livello di cottura conseguito dall’epidermide, come pure di pennichelle in riva al mare, spiagge costellate dalle loro impronte, sbadigli e starnuti colti al volo in un acme di parossistica bizzarria – al rutto o altra emissione corporea ancora non si è giunti, ma prima o poi verranno arruolati nella santa crociata. Nemmeno città e siti d’arte sfuggono al rito, grazie a scatti a ripetizione come non vi fosse un domani, del panorama bersagliato di turno. E come non farsi mancare video e autoritratti sullo sfondo di sagre e dilettevoli amenità che la stagione impone.
Ora, premesso che ognuno ha piena e legittima facoltà di gestire il proprio profilo come meglio crede e vuole, vi è solo d’augurarsi che la Costituzione preveda prima o poi anche quella fra i suoi articoli; premesso che la ferocia e l’implacabilità dei tempi attuali richiedano e impongano la necessità di ricrearsi; così come vale per ogni altro ambito della vita, anche qui è solo questione di misura. Di evitare quanto più gli eccessi, malgrado siano così fertilmente connaturati alla triade più infocata del calendario. Di chiedersi, in fondo, se all’universo-mondo interessi davvero, o fino a che punto, perlomeno. Perché l’eccesso cannibalizza, fagocita ed espelle annunci di nuove pubblicazioni, alla velocità con cui Superman potrebbe volare da New York a Katmandù. A meno che non vi sia qualche recondita pulsione a darsi la zappa sui piedi di propria mano. E dunque, mi chiedo: a quale vuoto o scarsa attenzione nella vita reale debba mai sopperire tutta questa rutilante baraonda in technicolor? Quale fantasma sia chiamata a rimpiazzare? Quale assenza a sostituire e colmare?
Lungi da me volermi inoltrare in argomenti la cui competenza spetta a fior di terapeuti e psicologi. Ciò nondimeno, essendo io cartolina illustrata d’aspetto e di pensiero, non posso fare a meno di pormeli quesiti di tale tipologia. So bene, così rimuginando, di espormi alle folgori di critiche e risentimenti nei confronti della mia persona. Una prassi alla quale mai potrei essere infedele. D’innescare un numero imprecisato e imprevedibile di micce. Me lo aspetto e garantisco sin d’ora che ne comprenderò qualsivoglia motivazione. Ma non posso rinnegare la lezione che la Vita e una certa signora che di nome fa Dorothy Parker hanno voluto trasmettermi e insegnarmi: “La prima cosa che faccio al mattino è lavare i denti e affilare la lingua”.