Disegnare la vita. Il mondo del circo e di Montmartre di Toulouse-Lautrec al “Mastio” della Cittadella di Torino
Articolo e foto di Antonio Maria Porretti
“Quando la matita inizia a muoversi deve essere lasciata libera di muoversi o – bang! – non succede più nulla”
Il conte Henry-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec disegnò incessantemente per tutta la sua vita, sin dall’età di quattro anni. Minato dalla picnodisostasi, una malattia genetica delle ossa con manifestazioni cliniche simili al nanismo, trovò attraverso l’esercizio del disegno il mezzo ideale per poter esprimere tutta quella vitalità che il corpo gli negava. Per questo Enfant Prodige (almeno quanto Terrible) dell’arte di fine Ottocento, matita e fogli avevano la stessa valenza e funzione del respiro.
La mostra in corso fino al 21 luglio 2024, presso il Mastio della Cittadella di Torino, si concentra e si propone di dare il massimo rilievo alla sua intensissima attività grafica. Grazie alla tecnica di incisione della Cromolitografia, Toulouse -Lautrec poté riprodurre in numerose copie non solo i suoi dipinti a olio e i suoi pastelli, ma anche i suoi schizzi che spesso servivano da prove, fasi preparatorie delle sue opere più note. Una sorta di “entraînement” per cogliere l’essenza del soggetto che intendeva raffigurare.
Il tratto è rapido, nervoso, quasi dominato da un’ansia di fissarsi sulla carta, eppure sempre controllato da una rigorosa e disciplinata capacità di osservazione priva di forzature o abbellimenti di compiacenza. Uno stile in cui Toulouse-Lautrec unisce la sua solida formazione artistica, maturata soprattutto nell’atelier di Fernand Comon, alle istanze del nuovo gusto influenzato dai canoni rappresentativi dell’arte giapponese.
Un virtuosismo mirato a scovare l’autenticità di mondi su cui la morale del tempo preferiva sorvolare, se non del tutto ignorare, pur essendo anche troppo consapevole della loro presenza e influenza. Emarginato dalla natura e dal suo ambiente, come non avrebbe potuto egli diventare un ambasciatore dei cabaret, dei café-chantant e dei bordelli di Montmartre?
Degli artisti, dei bohémien, delle prostitute e delle grisettes che infiammavano la vita notturna di Parigi? Come poteva evitare di eleggere a sua patria di elezione quel sobborgo che volgeva dalle alture della sua posizione o di porre il suo sguardo sogghignante e beffardo sugli splendori di facciata e rappresentanza della Ville Lumière?
Le litografie selezionate e raccolte seducono e stupiscono tanto per la veemenza, quanto per il rispetto che impongono nell’esporsi all’occhio del pubblico.
Si viene catapultati all’interno di piste da circo, locali, stanze private che diventano alcova di una lassitude amara, senza nessuna speranza nel domani. Stordirsi, annullarsi e evaporare nelle bollicine di una schiavitù camuffata da ebrezza di vita prossima all’agonia. C’è un livello di autenticità che turba, forse perché anche noi non siamo troppo distanti oggi da quei paradisi artificiali a cui lo scoppio della Grande Guerra avrebbe fatto risuonare le sue campane a morto.
E forse la vita volle mostrarsi gentile con Henry, facendolo morire il 9 settembre del 1901, a soli trentasette anni, affinché non assistesse al disfacimento del suo mondo. Non avrebbe più potuto praticare il suo credo: “Sempre e dovunque anche il brutto ha i suoi aspetti affascinanti; è eccitante scoprirli dove nessuno prima li ha notati”.