Interferenze di stagione. Cinque poesie inedite di Alessandro Barbato
Pubblichiamo cinque poesie inedite di Alessandro Barbato. Foto in copertina di Martino Ciano
Alessandro Barbato (Roma, 1975) dopo la laurea in lettere ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in antropologia sociale presso l’EHESS di Parigi dedicandosi allo studio dei rapporti tra nuove scienze umane e letteratura, in particolare nell’opera di Michel Leiris e Pier Paolo Pasolini. Ha pubblicato su tale tematica diversi saggi, in lingua italiana e francese, e una monografia. Ha pubblicato anche poesie su rivista, blog letterari e nel 2019 la silloge “Il fiore dell’attesa”, confluita nel 2020 nella raccolta “Solamente quando è inverno”, pubblicata in formato ebook da Ali Ribelli Edizioni. Nel 2022 ha visto la luce la sua ultima raccolta di versi, “La mimica dei mondi (qualche poesia fuoritempo)”, edita da Controluna – Edizioni di poesia. Attualmente insegna materie letterarie presso le Scuole Ebraiche di Roma.
Bucaneve
Fiorisce il bucaneve anche fra i ghiacci
delle nostre conclusioni, rivolto
il cuore verso il fondo della notte,
giù a terra, alla memoria di radici.
Così tu mi ricordi quel che è vivo
e sta nascosto tra le fredde mani
bianche dei giorni screpolati o i lenti
raggi del Sole di Gennaio. Vieni
a raccontare agli occhi che sapranno
anche ascoltare, di lontane estati
candide come è adesso anche la neve,
e spunti un po’ in anticipo o in ritardo
tra gelate che tagliano la pelle,
tremante in mezzo a un sorgere e a un cadere.
Marzo
Galleggiano nell’aria come barche
appese al molo ancora i pollini
di un’altra primavera in questa vita.
Aveva sempre un cielo la domenica
e il vento un timbro caldo, lento
asciutto, quando a sera ci approdava
in cuore e in gola una malinconia
che nuova allora, è mescolata
adesso ai tuoi profumi e diluita
in mille gesti innocui, come un fossile
di brina riparato all’ombra
tiepida di questo o di un altro nostro
marzo; di vecchie primavere vive,
attorcigliate attorno ai polsi,
nelle vene, d’un tempo che non cede.
Con gli occhi chiusi
Chissà dov’è che si aprono
i tuoi occhi ogni mattina,
dopo queste notti umide ed opache
come lacrime e di volontà
dettate a un cielo ingombro,
impolverato di astri e piccole
farfalle un po’ impacciate, forse
quasi spaventate dalla voce
balbettata della Luna
che le vuole più lontano.
Chissà se poi li incontri tutti i sogni
che non hanno avuto forza
per convincerti a restare,
ad aspettare ad occhi chiusi
che scompaia un altro giorno
di tremori, di singhiozzi
e voglie nude da non dire.
Interferenze di stagione
Come un’interferenza tra i pensieri
e le parole intrappolate
fra le costole e la lingua,
ci gracchia ancora e nuova
nello stomaco, la gola, l’eco
subdola della stagione ibrida
che mesce ai miei miraggi di silicio
un distillato di altre storie,
di germogli che non muoiono
di Sole né del freddo accantonato
nella mente. Ma è inutile provare
a trattenere un solo istante
della luce, se va e viene
tra le siepi di speranze e qualche
rosea cicatrice. Muovi allora
appena gli occhi come antenne,
guarda infine alle domande,
alle risposte che rinascono
e scompaiano perpetue
come le onde d’uno oceano
o di albe e di tramonti che si inseguono.
Le rimanenze
Muovo tra i bordi del giorno parole
di pane e rugiada, rubate
tra i nervi che pulsano sogni
lasciati a metà. Frugo discreto
tra curve di sguardi e di labbra
salate, come un fantasma impigliato
alle dita dei tuoi desideri,
diviso dall’alba da notti
infinite che invecchiano i sensi,
le articolazioni. Quale destino
ci taglia i talloni mentre imbocchiamo
sentieri di nebbia? Cosa rimane
tra i denti di luce che mordono
il buio dei tuoi capogiri?
Nulla che conti, che valga davvero,
solo un bisogno malato di Sole
con un incerto sapore di miele
che non ci basta, eppure non muore.