Flora Fusarelli. Le deboli. Una storia del Novecento
Recensione di Martino Ciano già pubblicata per Zona di Disagio
Dopo la lettura di questo romanzo salta subito all’occhio l’amore di Flora Fusarelli per la letteratura del Novecento e per l’indagine sull’emancipazione disattesa. Il secolo breve è stato un momento di passaggio. Ha riunito sotto di sé catastrofi che avevano l’intento di creare “l’uomo nuovo” e quel processo di democratizzazione e liberalizzazione dei costumi, caduto nella dittatura del progresso e del vitalismo. Il fallimento è davanti ai nostri occhi.
“Le deboli” di Flora Fusarelli è antecedente a tutti i processi e riporta al sogno, all’illusione, al punto di partenza. È un romanzo che parla di donne legate alla terra, appartenenti a quei “cafoni” a cui Silone attribuiva forza d’animo e volontà di riscatto. Tutto si svolge in un paesino e nel suo microcosmo, tra le sue leggi e le sue tradizioni, tra i suoi modi di agire e le sue istituzioni. Non c’è altro oltre questo luogo. La storia del paese non si incontra con la storia del Mondo. Tutto ciò che è al di là dei confini del paese è evanescente, accade ma non incide. Ma forse, per i “cafoni”, una delle peggiori illusioni è proprio l’idea che la storia non agisca su di loro?
Vincenza e Anna, madre e figlia, sono le deboli, le protagoniste del romanzo. Laboriose, disilluse e sognatrici, concrete e utopiche. Nelle loro contraddizioni sta il conflitto tra emancipazione e mantenimento del regime patriarcale. Sono due donne forti, ma non lo sanno. Sono al di là del “padre padrone”, ma lo ignorano. Vincenzina è vittima di un matrimonio imposto, Anna è una figlia di “cafoni” che vuole diventare maestra. Intorno a loro stanno la cieca indifferenza e la volontà di mantenere tutto com’è; eppure, ogni rigida struttura sociale ha le sue vie di fuga. L’eccezionalità è opportunità che può fare di una crepa un tunnel. Anna e Vincenzina sono quindi eccezioni e useranno due armi “non convenzionali”, ossia, l’amore e la sopportazione.
La scrittura di Flora Fusarelli è sintetica. Le frasi delineano solo, lasciano al lettore l’ultima parola. È una prosa che lascia intuire, perché in una società rigida il silenzio è forza, il “non-detto” è legge, l’intuizione è rivelazione. Fusarelli ci dona un romanzo che è cronaca di un momento a cui bisogna ritornare, a patto che si creda nel potere salvifico della storia intesa come insegnamento e non come accumulo di fatti.