Giorno della memoria. Libri per non dimenticare
Articolo di Letizia Falzone
Il Giorno della Memoria, istituito nel 2005 dalle Nazioni Unite, per ricordare un evento storico come ne sono stati vissuti pochi dall’umanità, l’Olocausto. Il 27 gennaio del 1945 l’Armata Rossa liberava Auschwitz, e con esso i pochi superstiti, prigionieri ebrei e politici.
Mentre guardo la libreria vedo saltar fuori con prepotenza i libri che ancora oggi, vengono letti in tutto il mondo per non dimenticare: dal “Diario” di Anna ai romanzi di Primo Levi, fino a “L’amico ritrovato” di Fred Uhlman. Tutti più o meno autobiografici, ci mostrano la storia vista con gli occhi degli ebrei, quelli che sono passati per i campi di concentramento o quelli che sono riusciti a salvarsi prima di essere arrestati. Poi l’attenzione mi cade su questo romanzo di Markus Zusak:“Storia di una ladra di libri” e mi torna in mente la domanda che mi sono fatta spesso, leggendo il diario di Anna Frank. Ma davvero tutti i tedeschi ariani erano d’accordo con le scelte della loro nazione?
Le vicende di questo libro sono romanzate, anche se Zusak prende spunto dai racconti dei genitori, di origine tedesca, che decisero di lasciare la Germania per trasferirsi in Australia negli anni ’50. In questa storia raccontata in modo davvero singolare i protagonisti sono tedeschi ariani e assistono, come tutti i loro concittadini, ai cambiamenti portati dal regime. Ma li condividono? La storia dirà di no.
“Storia di una ladra di libri” è sia un romanzo storico sia di formazione, ambientato in un piccolo villaggio della Germania, nei pressi di Monaco, durante l’ascesa del nazismo e il perpetrarsi della Seconda Guerra Mondiale.
Il libro descrive in modo dettagliato la crescita forzata dalla protagonista, indotta dalla violenza e dalla crudeltà. Quando ogni cosa è in rovina, una bambina di nove anni, Liesel, inizia la sua carriera di ladra in mezzo all’orrore, allo strazio, alla fame e ai sentimenti spesso calpestati. La lettura delle pagine dei pochi libri “rubati” trasporta la mente della ragazza lontano da quell’assurdo ambiente (anche se temporaneamente), al fine di astrarsi da tutto ciò che incombe nella sua città e nella sua via.
Il libro riesce a fondere la tragedia, raccontando uno spaccato tremendo della storia, con la magia ispirata da Liesel, una bambina che riesce a guardare la realtà in un modo diverso dagli altri: attraverso i suoi libri. Siamo nel 1939 in Germania, il Nazismo sta mietendo le sue vittime. Nella Germania del Fuhrer i libri non si leggono, si bruciano. La piccola Liesel Meminger, invece, li ruba.
Liesel, il giorno del funerale del fratello piccolo, nota un libro caduto nella neve. In quel momento decide che sarà lei la padrona di questo splendido oggetto. È così che ruba il suo primo libro, che si rivelerà essere un amico prezioso per i momenti difficili. Dovrà infatti affrontare la guerra e la cattiveria di uomini che per degli “strani” ideali vogliono dominare il mondo. Sarà il padre adottivo di Liesel a insegnarle a leggere, ma sarà da sola che inizierà a sottrarre i libri ai roghi nazisti e dalla biblioteca immensa della moglie del sindaco.
Con il suo comportamento la piccola ladra di libri non ha l’intento di rubare, ma di salvare quelle opere preziose di cui qualcuno vuole disfarsi. Inoltre, vuole utilizzare le parole per proteggere se stessa dal male, ma vuole proteggere anche la sua famiglia e tutte le persone che ama. Sarà sempre con le parole dei libri rubati che Liesel terrà in vita un ebreo che la famiglia adottiva nasconde nella cantina, sperando di riuscire a salvarlo dalla violenza del Nazismo.
“Storia di una ladra di libri” è un libro commovente. La storia di un popolo intero si mescola a quella personale della protagonista, una bambina che trova la sua salvezza nelle parole dei libri.
Mi ha colpito molto, oltre alla bellissima storia, la struttura particolare del libro e, certamente, l’ineguagliabile voce narrante: la Morte. È bizzarro leggere una storia raccontata dalla morte ma non è certamente fuori luogo se si pensa che questo romanzo è ambientato in un periodo storico in cui la morte, purtroppo, ha avuto un gran da fare. E da questa voce deriva l’importanza di trovare un balsamo per l’anima anche in momenti tragici e soprattutto in periodi in cui è necessario andare oltre la sopravvivenza.
Spesso ironica, ma molto più spesso malinconica e ben più triste di quello che l’essere umano creda, la morte si lamenta degli straordinari fatti durante questa ennesima guerra. Il suo è un racconto schietto, veloce, quasi freddo, che molte volte anticipa cosa accadrà ai personaggi svariati capitoli prima di descriverlo. Anziché smorzare l’interesse, questo espediente crea ancora più tensione e drammaticità facendoti proseguire la lettura con ansia e dolore, aspettando una morte annunciata e inevitabile, ben sapendo che non ci sarà un lieto fine per alcuni personaggi .
Ma si tratta della Seconda Guerra Mondiale, siamo nella Germania nazista: non può esserci nessun lieto fine, nemmeno quando siamo noi a inventare la storia.
Amo la caratterizzazione che lo scrittore ha dato alla Morte, che non ha neppure la forza di fermare lo sguardo sugli uomini troppo a lungo, sapendo che prima o poi dovrà tornare per prenderli tutti e così trova qualcos’altro su cui spostare la sua attenzione: i colori del cielo nel momento in cui scende sulla terra per fare il suo lavoro. Ogni morte diviene un colore… e quanto spesso in quegli anni il suo cielo è stato grigio e scuro.
Ma è la guerra, e lei è la morte: inutile girarci intorno. È molto meglio affrontare di petto una situazione comunque insostenibile, anche se di sicuro la cosa la fa soffrire.
Bella la scelta dell’autore di raccontare il Nazismo dal punto di vista dei tedeschi. In modo particolare dei bambini e dei tedeschi buoni, cioè dal punto di vista di tutte quelle persone che, soffrendo per la sorte degli ebrei, hanno cercato, nel loro piccolo, di fare qualcosa. Queste persone spesso si sono sentite in colpa per colpe non loro.
E poi i libri, libri da rubare o salvare come fossero, insieme agli ebrei, vittime innocenti dell’odio razzista. In Storia di una ladra di libri ho apprezzato molto la parte dedicata al potere delle parole. Con le parole puoi creare distruzione, come ha fatto Hitler, oppure creare amicizie come Liesel. La ragazzina arriverà addirittura a odiarle, quando capirà che sono state proprio le parole, la forza del Führer, la sua capacità di trascinare un intero popolo in una pulizia etnica senza senso. Ma le stesse parole l’hanno anche salvata durante le notti insonni con papà Hubermann o con Max, finché, quell’ultima notte, le hanno salvato la vita.
Liesel imparerà a usarle per raccontare la sua storia, quella di una piccola ladra di libri, e dei suoi affetti, della verità, della giustizia e delle ingiustizie, del bene e del male.
Il libro: mi ha ricordato le vittime dell’Olocausto, la loro disgrazia e i loro dolori; dimostra che c’era ancora, in un paese devastato, qualche anima disposta a non seguire una stupida ideologia. Ma soprattutto, dimostra il valore delle parole e l’importanza di usarle nel modo corretto. Perché possono essere la nostra memoria, e la nostra sopravvivenza dipende da questa, ma possono anche sollevare gli animi nel modo sbagliato, portando a errori inestimabili.
E Liesel, che a tredici anni lo ha già capito, terminerà il racconto della sua vita con una sola frase: Ho odiato le parole e le ho amate, e spero che siano tutte giuste.