Cronache della fine. Antonio Franchini e la “rilettura” del caso “Dante Virgili”

Cronache della fine. Antonio Franchini e la “rilettura” del caso “Dante Virgili”

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Cronache della fine” di Antonio Franchini, Marsilio, 2019

Ci sono libri che hanno il merito di fare luce su molti aspetti, anche su cose che con il tema dell’opera poco c’entrano. In maniera inaspettata, leggendo “Cronache della fine” di Antonio Franchini, mi sono ritrovato a condividerne non solo il suo pensiero, ma anche a sottolineare alcune parti del testo in questione; soprattutto quelle in cui lo scrittore, nonché consulente editoriale, parla delle intime dinamiche che si muovono nei grandi marchi della fabbrica culturale.

Al centro dell’opera c’è Dante Virgili, sconosciuto ai più, ma che è anche oggetto di culto in alcune frange. Infatti, nel 1970, alla Mondadori, dopo lunghe interlocuzioni tra i collaboratori dell’epoca, tra cui spiccavano Ferruccio Parazzoli e Vittorio Sereni, decidono di pubblicare il romanzo “La distruzione”. Il testo è dichiaratamente nazista, visto che esalta la figura di Hitler. Nonostante tutto, il libro di Virgili attraversa la letteratura tiepidamente, senza particolari commenti. Tenete conto che siamo negli anni Settanta del secolo scorso, nel mezzo delle rivolte e degli scontri tra “rossi e neri”.

Ora, partiamo anche dal fatto che questo libro l’ho letto proprio sulla scia del mio interesse per Virgili. Infatti, per anni ho cercato “La distruzione” sulle bancarelle di Roma, poi, nel 2016, Il Saggiatore ha deciso di ripubblicarlo con tanto di prefazione di Roberto Saviano. Io l’ho acquistato, l’ho letto e ne ho anche scritto, a testimonianza del fatto che quell’opera mi era piaciuta. A scanso di equivoci, mi sembra giusto ribadire che non sono mai stato un nostalgico nazista, vista la mia provenienza da una famiglia in cui si è mangiato pane, Psi e Pertini (e questo lo dico con fierezza), ma sono certo che anche tra i “selettori” di Mondadori non ci fossero amanti della croce uncinata.

Franchini dedica a Virgili questo romanzo-inchiesta per un semplice motivo: a inizio degli anni Novanta lui era “colui che pronunciava l’ultima parola sulle pubblicazioni di narrativa della Mondadori”, e tra i testi che scartò ci fu un romanzo di Virgili, ossia Metodo della sopravvivenza. Da qui nasce la ricerca intorno a questo scrittore: un tipo ossessivo, piccolo borghese, folle, perverso, che mangiava solo carne cruda, che parlava di guerre e di carie dentali con la stessa foga, ma che era anche vittima delle sue paranoie. Nel suo “curriculum” non mancano tentativi di suicidio e passaggi in manicomio.

Oggi di Virgili si sa ancora pochissimo; pensate che di lui non esiste neanche una foto. Non è stato un innovatore, ma di sicuro un informale. Parazzoli, negli anni in cui si doveva decidere se pubblicare o meno “La distruzione”, rimase colpito dalla ventata di freschezza di quella scrittura e dagli argomenti trattati, perché finalmente tra quelle pagine non c’erano più giovani smidollati, storie d’amore tragiche, impotenze sessuali e altre banalità contemporanee.

Ma c’è anche un sospetto che aleggiava tra gli addetti ai lavori: Virgili esisteva o era un personaggio inventato? La risposta arriverà poco dopo, perché quest’uomo deforme, basso, a cui erano rimasti in bocca solo due incisivi, cominciò a frequentare gli ambienti della Mondadori e, al suo seguito, aveva anche un discreto codazzo di sostenitori.

Parazzoli ricorda anche che Virgili vomitava sempre, anche se non aveva mangiato o se non aveva qualcosa da buttare fuori. Era davvero disgustato da ogni cosa. Non faceva mistero del suo sadico amore per gli oggetti di tortura e per i suoi sporadici rapporti sessuali con uomini e donne.

Insomma, lui era una sorta di demone che ben incarnava le paranoie e le fobie dell’epoca. Ma come detto, Franchini sfrutta la vicenda editoriale de “La distruzione” per parlare di editoria a tutto tondo. E proprio queste pagine sono quelle più avvincenti, perché già negli anni Novanta del secolo scorso, il sistema era in default; infatti, già si discuteva della breve vita dei libri e della voracità del mercato; della sovrapproduzione; dell’amichettismo; dell’indecente caduta della narrativa italiana; della mancanza di coraggio degli editori. Insomma, tutte cose di cui oggi il web è pieno.

Certo, visto il ruolo di Franchini in quegli anni, qualcuno potrebbe chiedergli: tu cosa hai fatto per salvare la baracca? Ma anche questo quesito potrebbe trovare risposta in una frase riportata nel libro e che è stata pronunciata da Umberto Eco, ossia che a certi livelli è quasi impossibile non cadere nella tentazione di favorire qualche conoscente a discapito di miriadi di sconosciuti. Ecco perché Virgili rappresenta un’anomia.

Allora, oggi come allora, o forse come sempre, davvero ci si può fidare di ciò che viene definito letteratura? Al di là di tutto, vale la pena leggere questo libro.

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