Cromosoma della fine. Gianni Eros Russo e la condanna dell’apparenza
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Cromosoma della fine” di Gianni Eros Russo, Pequod, 2024
I versi di Gianni Eros Russo incidono l’apparenza, l’evanescente. Ogni Ente si sgretola nel divenire e ciò tocca anche all’esistenza umana. La sua poesia non è un inno al nichilismo o al pessimismo, ma alla costatazione del reale, perché nel mezzo della vita e della sua sostanza viene concepita la poesia; l’astrazione è infatti un’illusione peggiore della razionalità.
L’uomo è misura del suo tempo,/ma i suoi patimenti sono nulla/fra le mute infinite delle galassie/il suo cielo è meno/della misura di un punto./Eppure, vive questo caldo/e questa stanchezza come/se, nella sintassi delle orbite/ellittiche, contasse qualcosa:/e il suo decadimento mi appartiene./L’umanità è un canto sperduto/(veleno eterno della Terra)/è una manciata di polvere./(Inevitabile sarà smettere di scrivere, necessità, per eccesso d’ingordigia:/nell’abbandono dovremmo compatirci),/Eppure, sento il corpo caldo/nullità nell’economia del cosmo./Eppure, sono corpo caldo/e nella sera cerco i tuoi occhi.
La costruzione del mondo, ma potremmo anche dire “la natura delle cose”, è per il poeta campano un momento da cui soprattutto l’uomo si fa abbindolare, attribuendo a questo andirivieni tra “essere e nulla” la speranza nei giorni migliori. Tutto tende alla perfezione? Certo che no; attraverso le sue poesie, Russo risponde in maniera molto semplice: cos’è il nostro dolore in confronto all’erezione delle galassie? Cosa sono i nostri giorni rispetto ai tempi di evoluzione dell’Universo?
Le parole di Russo salvano poco, forse solo una latente necessità di amore, che, per quanto soggetta anch’ella al divenire, rinnova giorno dopo giorno un miraggio di eternità e di benessere. Il poeta duella con il lettore; lo interroga con la sua scrittura ricca di spunti di riflessione, fomentata da emozioni che fanno a pugni con il sogno che tutto prova a sistemare. Forse, è proprio questa reazione a catena innescata dal nostro “sentire” che prova ad addolcire l’incubo quotidiano nel quale siamo immersi.
Inalare la bianca pianura,/l’ultimo sole mattutino/e l’acciaio di un ponte/e la malattia del tempo:/l’ultima avventura di rumore/sparirà con l’uomo/con una perifrasi/vuota nel sogno della storia.
In questa perpetua lucidità, che rende visibile anche l’invisibile, che fa trattenere il fiato anche all’aria aperta, Russo interroga se stesso e l’umanità. Sa che non avrà una risposta esaustiva, perché non è compito né della ragione né dello spirito comprendere quella misteriosa attrazione che lega l’uomo alle sue convinzioni e alla sua necessità di eternità. Provare a scoprire l’origine di questa forza è la provocazione in cui l’Universo ci getta quotidianamente.