Brucia una discarica

Brucia una discarica

Racconto e foto di Martino Ciano

Mentre respirava polline di amianto, tra i petali di eternit posati, per voto, da mano ignota e per volontà di un potere superiore che guardava quell’afflitto territorio da una spiaggia dell’Indonesia, lui sentì un leggero pizzico al cuore che sapeva di infarto. Ma era solo un falso allarme, come le sirene delle auto dei Carabinieri che una mattina passarono urlando per la strada su cui affaccia la sua casa. Le vide zittirsi e spegnersi poco più in là, presso un’altra abitazione. Lui sorrise, anche se si era cacato sotto, nonostante si ripetesse in testa che poteva stare tranquillo, ché il capo suo aveva amici in Regione e in qualche Procura. “Niente armi, le bocche si tappano con Rolex, puttane e qualche spiccio”, diceva sempre così quello che comandava…

… c’erano tangenti fumanti che odoravano di diossina… Eppure lui le banconote le stringeva tra le mani senza bruciarsi. Erano ruvide e taglienti, erano da poco in circolazione, le avevano maneggiate tre o quattro persone al massimo. Quasi non voleva liberarsene, non voleva spenderle. Decise di metterle nella cassaforte di casa sua, nell’angolo in cui l’ingresso del bagno spia quello del salotto. Il piccolo sportello quadrato era ben celato da un dipinto piccino: un gatto color ruggine disteso su un lenzuolo…

“bucami il cuore, è a lui che chiedo ancora di inseguire la necessità. Ho scalato i tetti per specchiarmi in nidi di rondini disorientate, sfuggite alle tempeste per morire nell’abbraccio della serenità”. Scriveva così lo scemo solitario, rapito da un attacco di malinconia davanti alla colonna di fumo nero che si innalzava nell’angolo di un frutteto in cui da bambino andava a rubare pere e albicocche. Tra le mani il taccuino, mentre la testa era zeppa di parole che si scontravano l’una con l’altra. Non sapeva fare altro che scrivere versi che pochi riuscivano a decifrare, ma non perché incomprensibili, bensì per la loro cruda testimonianza…

… nasceva avvelenato il nuovo giorno. Tutto era stato spento nella serata precedente, prima che arrivasse mezzanotte e scoccasse un altro . Poteva dirsi “archiviata” la parola di condanna, la preoccupazione sorta in tanti di dover dormire con le finestre chiuse con quel caldo estivo che annunciava sudore e meraviglie. Tutto diventò una timida cronaca locale, in attesa di un Dio giudicatore che annunciasse il suo verdetto dopo anni e anni di rinvii…

… emigrava la nostalgia di un giovane bagnino. Chiudeva gli ombrelloni mentre uno stormo di uccelli graffiava il cielo con il battito delle ali. Fischiettava il ragazzo, sibilava una ninnananna con cui addormentare l’ultimo scorcio d’estate. Settembre era vicino, dopo di esso l’autunno e l’inverno, infine la primavera e di nuovo un’estate. Ecco il ciclo ininterrotto della natura e dell’economia; è un ciclo anche quello dei veleni: essi si accumulano nelle nuvole per poi scendere sulla terra sotto forma di particelle che l’occhio non vede… Basta però, è noioso parlarne; tra uno sbadiglio e l’altro si può dire di tutto, tranne del disastro ambientale…

… mentre qualcuno moriva improvvisamente e mentre un tumore silenzioso, scoperto per caso, infastidiva la tranquillità di giovani e adulti, qualcuno contava soldi e sbriciolava il proprio tempo durante una partita a carte. Fu in quel momento, mentre tirava la bestemmia contro Sant’Antonio per un tre di bastoni bastardo, che lui sentì il cuore fermarsi. Le carte da gioco gli caddero di mano come quei petali di amianto che aveva nascosto, per voto, pur di non morire di fame… quella volta si cacò addosso per davvero, ma se ne accorsero gli altri…

… morto per ingorda e ingenua concessione di Dio. Scrisse lo scemo solitario quel giorno, mentre sentì lo schioppo di un tappo di bottiglia, poi un applauso, poi una risata e l’inizio di un nuovo ciclo per qualcun altro per cui non c’era differenza tra i petali di rosa e i petali di amianto.

 

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