Accidia. Il male indotto

Articolo di Martino Ciano già pubblicato per Eretici

L’accidia è l’avversione ad operare, mista a noia e indifferenza. Se nel passato questo “atteggiamento” era sintomo di una vita fin troppo oziosa che solo pochi potevano permettersi, oggi l’inoperosità è piuttosto uno stato indotto tanto dal benessere, quanto dalla precarietà.

A sostegno di questa tesi ho scomodato un illustre sociologo, Zygmunt Baumann. La modernità è improntata sulla flessibilità, pertanto non esiste più la rigidità della norma. Tutto si muove su regole cambiano in base alle circostanze.

Nel secolo scorso chi iniziava a lavorare in una fabbrica sapeva che sarebbe rimasto lì per tutta la vita. Di conseguenza i figli dell’operai, pur auspicando all’emancipazione, avevano il rifugio della fabbrica. Ciò accresceva la coscienza di classe e assegnava a ciascuno un ruolo. In questo modo, ogni membro della società era parte della storia e garante della sua emancipazione.

Con la globalizzazione e l’epidemia della flessibilità, nulla ha più un peso, tutto è diventato leggero. Il capitale non ha più confini, si sposta di nazione in nazione, non ha regole e la politica ne è succube. Davanti ad esso i governi devono inchinarsi e perdere buona parte della propria sovranità, garantendo codici sul lavoro “usa e getta”.

Il nuovo operaio è alle dipendenze della precarietà. È chiamato a vestire panni diversi nel corso della sua vita lavorativa. Può essere qualsiasi cosa, ma non avrà mai un ruolo, tanto meno sarà membro attivo di una classe. Non edificherà la sua coscienza, non potrà pensare alla sua emancipazione.

In questo modo la società si sgretola e le condizioni generali non creano più cittadini ma individui. Già nel XIX secolo De Toqueville diceva che il cittadino è colui che si sente parte di uno Stato e lavora per renderlo migliore, l’individuo non crede nel bene comune e quindi non si impegna a migliorare la propria nazione.

Bauman scrive proprio questo: “La società moderna è composta da individui”. Ogni persona può essere ciò che vuole, può aspirare a tutto pur sapendo che giungerà a poco, perché nel nuovo mondo della flessibilità, la libertà è sinonimo di precarietà. L’individuo, insomma, è spacciato prima ancora di iniziare la sua corsa, perché nessuno può farcela da solo.

A dirlo è anche il padre della sociologia, Émile Durkheim. È la società che dà forza alla persona, le dà un ruolo, delle responsabilità, un compito, una missione. Nessuno può sopravvivere alla società e nessuno può starsene al di fuori. In questa corsa individuale in cui il domani è fosco e il raggiungimento dell’obiettivo dà un appagamento momentaneo, il tempo anche muta in base alle nostre esigenze e deve correre insieme a noi.

Passato e futuro vengono rifiutati perché “pensarli”, blocca la nostra corsa che si arresta solo dopo aver tagliato il traguardo “dell’essere qui, adesso”. Zona in cui diventiamo un’entità senza consistenza, che apprende solo per sopravvivere all’attimo.

Di qui l’accidia moderna. Una inoperosità indotta, creata dalle circostanze, in cui fare è come non fare, visto che il lavoro flessibile non produce effetti. Nel moderno capitalismo, insomma, in cui tutto è merce e tutto va consumato, anche l’operosità ha un fine economico.

L’accidioso di oggi è colui che davanti a tante strade non è in grado di sceglierne una, per il solo motivo che le condizioni generali pongono troppi vicoli ciechi.

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