Dammi tutto il tuo male. Matteo Ferrario e le ambiguità che stanno tra bene e male
Recensione di Letizia Falzone. In copertina: “Dammi tutto il tuo male” di Matteo Ferrario, HarperCollins Italia, 2017
Cosa siamo disposti a fare per proteggere le persone che amiamo? Conosciamo davvero la parte più profonda di noi stessi? Qual è il confine sottile che separa la scelta tra bene e male? Cosa si nasconde veramente nella parte più profonda della nostra anima? Inizi a leggere il libro e sai già che il protagonista è un assassino, lo dice lui stesso, nelle primissime righe:
“Sono un padre e un assassino, e dopo tanti anni non ho ancora capito se devo essere grato a Barbara oppure odiarla, perché senza di lei non mi sarei scoperto capace di nessuna delle due cose.”
Un incipit forte, che colpisce duro. Poi prosegui e capisci che l’autore non vuole rivelarti la vittima, che gioca a darti le tessere del puzzle una alla volta, e tu cerchi di anticipare, di capire le mosse.
Andrea Bertoni è un uomo normale che ha mille dubbi e poche certezze. La certezza di essere un padre bravo e presente per la figlioletta Viola; di essere stato un compagno innamorato ma incapace di salvare il suo rapporto con la compagna Barbara; un uomo che porta dentro di sé un segreto pesante da sopportare.
Quarant’anni, bibliotecario, Andrea si innamora follemente di Barbara, giovane e seducente tatuatrice, donna dalla personalità complessa e tormentata. La nascita della figlia Viola turba profondamente il precario equilibrio di stabilità di Barbara che sceglie, consapevolmente, di abbandonare tutto e tutti. Andrea racconta allora in un viaggio che è anche un percorso a ritroso della loro storia sentimentale, ciò che è accaduto nella vita di Barbara fino a rivelare il suo crimine: Andrea è un assassino. Ma è anche un uomo che ama ancora la compagna che lo ha abbandonato e che fa di tutto perché la figlia non dimentichi la propria madre. Una donna con cui ha vissuto una storia travolgente, l’unica donna che abbia mai amato veramente, anche se all’inizio non era così, era solo bisogno l’uno dell’altra.
“Dammi tutto il tuo male” è la storia di un uomo normale che diventa un assassino, ma è anche e soprattutto una riflessione su quelli che sono i nostri limiti di discernimento tra il bene e male. Cosa trasforma un uomo banale, dalla vita quasi monotona, in un feroce assassino? E soprattutto, è possibile giustificare moralmente un atto del genere? Matteo Ferrario ci trascina in una storia lugubre, dolorosa, dove l’amore sembra voler giustificare anche l’atto più violento e turpe come l’omicidio compiuto in maniera consapevole e volontaria.
La scrittura di Ferrario impone un continuo senso di allerta, non solo perché il gesto di Andrea verrà svelato solo verso la fine del libro, ma anche per provare a capire la psicologia dei personaggi descritti. Andrea, da assassino, sembra quasi aver trovato il suo equilibrio. Ma come è possibile non impazzire dopo una cosa del genere? Eppure è un ottimo padre, si prende cura da solo di Viola, è un buon amico e il lavoro va bene. È tormentato, ogni tanto piange, ma sembra più saldo di prima. Sembra che il suo essersi messo davvero a confronto con la parte più oscura di sé lo abbia reso “intero”.
Anche Barbara è un personaggio complesso, forse troppo, così come l’amore che la unisce ad Andrea. Barbara ad un certo punto dice di sentirsi come l’incrinatura di un vetro, ovvero qualcosa che non si può aggiustare. Il suo compagno vorrebbe poterlo fare, ma a volte nemmeno l’amore basta. Anche Barbara dovrà scendere a compromessi con il male che porta dentro: non sappiamo quanto avrà sofferto nel farlo, ma, conoscendola, il suo gesto era l’unico possibile.
“Dammi tutto il tuo male” non è solo il titolo del romanzo, ma anche una battuta che i due si scambiano e che ho trovato molto più significativa di intere pagine di amori irreali. “Dammi tutto il tuo male” significa che si è pronti ad accogliere davvero ogni parte dell’altro, persino quella che ci fa più paura. Significa amare senza riserve, senza timore, senza esitazione. Significa diventare custodi del buio e della luce, senza giudicare, senza tentare di capire, finalmente consapevoli che l’una non può esistere senza l’altro.