Le Suspect. Georges Simenon e la vita segreta

Le Suspect. Georges Simenon e la vita segreta

Recensione di Antonio Maria Porretti

Un romanzo d’azione più che d’atmosfera, come il caro Georges ci ha abituato per anni attingendo alla sua vastissima produzione. Una storia in cui egli rispetta. di gran lunga in anticipo sui tempi, punto per punto, quello che Cristopher Vogler avrebbe poi codificato nel suo manuale, a uso di narratori e sceneggiatori, “Il Viaggio dell’Eroe” (disponibile in una nuova traduzione a cura di Jusi Loreti sempre per la Dino Audino Editore, per chi volesse approfondire l’argomento e il tema). Giacché di questo si tratta; di un viaggio. Inteso non solo in termini di spostamento geografico, ma anche e soprattutto come percorso dell’anima. E fin qui, nulla di nuovo su qualunque fronte si scelga di privilegiare.

In questo caso, l’eroe della vicenda ha i lineamenti, gli ideali, i trascorsi e i sentimenti di Pierre Chave. Cognome che ritengo non scelto a caso dall’autore, poiché risulta troppo evidente l’assonanza con il verbo Chavirer, che in francese equivale a rovesciare, capovolgere, scombussolare. Ed è esattamente quanto avviene al nostro protagonista. Un espatriato che in ragione della propria fede anarchica è stato costretto ad abbandonare Parigi e la Francia, per rifugiarsi insieme alla famiglia in Belgio. A Schaerbeck, sobborgo di Bruxelles, dove si è adattato a vivere come factotum di un teatrino piuttosto malmesso. Una sera, nel corso di una rappresentazione, viene raggiunto dal Barone, personaggio ambiguo attraverso il quale mantiene i contatti con il gruppo sovversivo di cui faceva parte. Da questi, egli apprende dell’imminenza di un attentato che prevede l’esplosione di una fabbrica di aerei situata lungo la strada per Neully, alle porte a nord di Parigi.

Il prescelto, il mandante che se ne dovrebbe fare materialmente carico è Robert. Per Chave, un vero e proprio figlio elettivo, un ragazzo che considera suo dovere proteggere, ritrovando in lui  troppe similitudini con il giovane ch’egli è stato a suo tempo. E qui parte il conflitto, il contrasto tra i suoi ideali politici e sociali da una parte, e i suoi affetti personali dall’altra. Nulla di più classico dunque, da un punto di vista narrativo. Ed è qui che interviene la maestria di Simenon, riuscendo ancora una volta ad orchestrare una storia che ci lascia con il fiato sospeso, seguendo il suo eroe in ogni tappa della missione che intende portare a termine: sventare quell’attentato, per evitare a Robert l’arresto, un processo sommario e l’inevitabile condanna ad anni di prigionia.

Se le tesi che egli ha sempre sostenuto, per le quali sempre si è sacrificato e ha combattuto, comportano l’uccisione di vittime innocenti, di altri padri di famiglia che condividono la sua stessa grama esistenza, fino a che punto può ritenerle ancora giuste? Se il capro espiatorio della sua lotta politica dovesse essere proprio quel giovane che rappresenta e incarna uno dei suoi affetti più tenaci, quale stima di se stesso potrebbe mai continuare ad avere? E quale esempio darebbe a Pierrot, il suo bambino, ora ammalato di morbillo, lasciato totalmente alle cure di Marie, la moglie che non gli ha mai contestato nessuna delle sue scelte, condividendone ogni ostacolo e rischio?

Suspense d’azione e psicologica si ritrovano saldate e alleate profondamente nell’animo di quest’uomo. Dentro una vita che non è come tante, sebbene all’apparenza tale possa apparire. Come non lo è mai nessuna, ma che solo un grande raccontatore del quotidiano è in grado di plasmare e cesellare nelle forme di un pezzo unico. E all’interno del suo atelier, Simenon ne ha prodotti a bizzeffe di esemplari esclusivi.

 

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