Camera con svista

Racconto di Daniela Grandinetti

Dalila era rinchiusa in stanza senza odori, vuota, muri bianchi e puliti, non una finestra, un mobile o un quadro appeso. Andava su e giù per la stanza cercando un indizio, qualcosa che le rivelasse cosa fosse successo e perché fosse rinchiusa là dentro. Non sapeva quanto tempo fosse trascorso, quando fosse arrivata, come, da dove.

«Forse sono impazzita e questo è una specie di manicomio. Ma allora perché non c’è un letto? Perché non ci sono infermieri?» Si rialzò di scatto e si avventò contro la porta chiusa prendendola a calci. «Mi sentite? C’è qualcuno?» Picchiò invano finché le mani non cominciarono a farle male e si accasciò esausta. Pianse fino a che, esausta, finì per addormentarsi sul pavimento. Si svegliò senza sapere quanto avesse dormito. Potevano essere state dieci ore come dieci minuti. La testa però faceva meno male. Chiuse gli occhi ascoltando il suo respiro finalmente più regolare, cercando di immaginare come si potesse vivere in una stanza vuota: senza tempo, senza memoria, senza ricordi, senza identità, senza niente da fare. Solo lei e il suo dannatissimo respiro. Pensò di uscire e vedere cosa ci fosse là fuori. Era nella condizione di costruire un desiderio qualsiasi, slegato dai suoi personali bisogni dei quali, non ricordando niente di sé, non aveva alcuna cognizione. Non poteva fare altro che concedersi l’immaginazione. Cercò di abbandonarsi e, con sua sorpresa. Così aprì la porta: cosa vorresti Dalila?

«Vorrei sentire gli odori prima di tutto, qui dentro non ci sono». Si fermò ad annusare l’aria e un profumo delicato di mele zucchero e cannella le invase le narici. Cercò di respirarlo a fondo fino a sentirlo intenso e a poco a poco un senso di tepore le riscaldò il corpo indolenzito. Si mosse, sempre a occhi chiusi, piccoli passi lenti tastando l’aria intorno. Poi aprì gli occhi.

«Forse sono morta. Mi trovo nel luogo dove vanno i morti, un luogo dove si possono sentire odori, ma nient’altro. Morendo dunque perdiamo la nostra identità. Non ci portiamo dietro niente».
“Attenta Dalila – le disse una voce da dentro – quello che stai vedendo è prodotto dal tuo desiderio, non sai se è davvero quello che sta dietro la porta.”
Era vero, stava camminando nel suo desiderio. Voltò lo sguardo sul lato destro e sullo sfondo, oltre la vegetazione, vide il mare. Un mare calmo e celeste. E c’era ancora lo stesso odore: di mela, zucchero e cannella.

Poi all’improvviso l’odore sparì, c’era qualcuno accanto a lei, si ritrovò di nuovo nella stanza vuota, stesa sulla superficie dura del pavimento. Vide il bianco delle pareti intorno e la porta. La porta. La porta era socchiusa. Si alzò di scatto, intontita, c’era un uomo: era piuttosto giovane, vestito di nero, con una chitarra in mano. Stava in piedi contro il muro e la stava fissando, due occhi neri puntati addosso. Senza riuscire a parlare, Dalila si perse in quello sguardo eterno, cercando là dentro una risposta prima che arrivassero le parole, non era sicura di essere pronta ad ascoltarle. L’uomo se ne stava in silenzio, perfettamente immobile.

«Chi sei? Puoi dirmi dove mi trovo? Perché sono qui?» Silenzio.
«Come ci sono arrivata?»
«Quante domande tutte insieme, dormivi così beata!» L’uomo le sorrise, rassicurante. La voce, la voce dell’uomo, dunque poteva sentirla. Quella voce aveva finalmente spezzato quell’orribile silenzio.
«Perché non si sente niente, ma posso ascoltare la tua voce?» L’uomo si sedette incrociando le gambe e imbracciò la chitarra.
«Comprendo la tua curiosità, ma dovrai avere ancora un po’ di pazienza, aspettiamo un’altra persona. Di solito è sempre in ritardo. Io invece ho il vizio della puntualità, ma purtroppo senza di lui non posso iniziare. Appena sarà qui, capirai tutto. Però nel frattempo posso suonare e questo potrai sentirlo».

L’uomo cominciò a pizzicare le corde producendo una melodia dolce. Dalila avrebbe voluto chiedere, parlare, avere risposte. Dalila notò che aveva belle mani, osservava la sagoma scura contro il bianco della parete e ascoltando la musica la paura lasciò il posto alla disponibilità e alla pazienza. L’atmosfera di beatitudine fu però interrotta bruscamente, la porta si spalancò di botto ed entrò un secondo uomo: alto, magro, con la barba e i capelli corvini, anche lui vestito di nero e visibilmente affaticato.

«Scusa Dalì». Disse l’uomo ansimante per il fiatone. Il primo uomo smise di suonare e lo guardò severo, scuotendo la testa.
«Proprio non ti riesce eh Mirò?» Poi però gli sorrise.
«Un attimo che mi riprendo, ho fatto una corsa folle. Evitami la predica.»
«Io ci rinuncio alla predica, tanto non serve, ormai sono rassegnato, lo sai che la puntualità per noi è la regola. Potrebbe essere pericoloso ritardare. È andata bene, ma non è detto che vada sempre così.»
«Eccola, sento che sta per arrivare…» «Cosa?»
«La predica che dici di non voler fare. È più forte di te. Forza dai, falla così la facciamo finita». Lo sguardo di Dalila rimbalzava da uno all’altro senza riuscire a trovare lo spazio per insinuarsi in quel botta e risposta strampalato. Mirò, Dalì… che razza di nomi erano?
«Mirò ogni volta è la stessa storia. Proprio non ti entra in testa.» Dalì adesso era visibilmente spazientito.
«Non cominciare con la tua aria da saputello. Non la sopporto. Va bene, tu sei il bravo ragazzo e io la pecora nera. Ma di che ti lamenti poi? Mentre aspetti, suoni! che poi è l’unico momento in cui lo puoi fare. Dovresti ringraziarmi invece di rompere.»
«Dannazione Mirò, ma possibile che non capisci che qui non è questione di me o di te? Anche a me non piace, ma ci hanno messo insieme e si dia il caso che non sono solo io ad aspettarti. Almeno a questo dovresti pensare.»
«Va bene, come al solito stai facendo sto’ casino per un quarto d’ora, forse nemmeno.»
«Ancora? Ancora non ti entra in quella testa dura che qui il tempo non c’è più? Non lo contiamo più quindi non è questione di tempo?» «Facevo per dire, sai benissimo cosa intendevo, non fare sempre il precisino…»
«Eppure lo sai che non posso cominciare senza di te! È una questione di rispetto»
«Senti Dalì, chiariamo una volta per tutte: non l’ho chiesto io di stare con te. E poi tu da quel balcone sei saltato giù perché l’hai voluto. Io invece da quella finestra sono caduto, ca-du-to! Non dovrei stare qui, e tu lo sai. Se permetti mi girano e parecchio.»
«Sei tu che continui a dire che sei caduto, ma non eri alla finestra a sbattere il tappeto o dare l’acqua ai gerani. Avevi fatto una scommessa e l’hai persa, no? E poi a te chi lo ha detto che volevo buttarmi? C’hanno messo insieme apposta perché siamo imperfetti tutti e due. Quindi basta con le tue lagne che qui non servono.»

Dalila era sempre più allibita, ascoltava senza capire, gli occhi rimbalzavano da una parte all’altra come una pallina su un tavolo di ping-pong. Doveva dire qualcosa, perché a quanto pareva quei due si stavano dimenticando della sua presenza.
«Insomma, volete dirmi che cosa succede? Mirò, Dalì, ma chi siete?» Mirò e Dalì simultaneamente si voltarono a guardare Dalila come se la vedessero per la prima volta. «Ecco hai visto? Hai rovinato tutto come sempre. L’hai fatta innervosire, e può essere dannoso maledizione!»
«Io? Bello, se tu non avessi fatto il tuo pistolino a quest’ora avevamo bell’è finito»
«Mirò, tanto io e te non ci prendiamo e non ci prenderemo mai. Tanto perché tu lo sappia ho fatto domanda di nuovo per cambiare compagno. Ma intanto che dobbiamo stare insieme cerchiamo di venirci incontro. A me piace la precisione e a te no. Io prendo sul serio le missioni che mi vengono assegnate e tu no…»
«Fermo fermo fermo…. In altre parole tu saresti il bravo ed io il coglione?»
«Non ho detto questo, dicevo solo che siamo diversi. Non è questione di bravo o coglione e meglio o peggio. Siamo diversi. Punto. E ora se non ti dispiace occupiamoci di Dalila». Dalila sgranò gli occhi per la sorpresa.
«Conosci il mio nome?» Chiese.
«Certo Dalila.»
«Quindi puoi spiegarmi perché sono qui.» Mirò pensò bene di intromettersi in quello che sembrava si stesse trasformando in un idillio, aveva notato un tono complice tra i due e la cosa gli piaceva poco.
«Dalila perdona il ritardo e scusaci per questa discussione idiota alla quale hai dovuto assistere. In effetti noi siamo qui per te – mise una certa enfasi su quel noi – vedi, ti trovi nel Guado del Limbo dei…»
«Mirò non correre, prima bisogna presentarsi, dobbiamo rispettare gli step del protocollo….»
«Gli step del protocollo? Ma ti senti come parli? Io me ne frego degli step del protocollo e comunque smettila di interrompermi sempre, stavo appunto per presentarmi…»
«Ma hai cominciato dalla fine! Bisogna essere precisi perché le torni la memoria…»
«Tu sei proprio appiccicato ancora alle righe della dispensa, te le ripassi ogni mattina o la sera prima di andare a nanna, invece di dire le preghierine?» «Ricominci?»
«Io? Ma se hai ricominciato tu!»
«Insomma basta – sbottò Dalila – smettetela di litigare, mi sembra di impazzire. Voglio sapere dove mi trovo.»
«Dalila io sono Dalì, è il nome che mi hanno assegnato quando sono arrivato. Ci troviamo nel luogo dove vanno dopo la morte quelli che hanno scelto di mettere fine alla propria vita»
«Dunque sono morta, e questo è l’inferno.»
«No, non sei ancora del tutto morta, diciamo così. E questo non è l’inferno. Come vedi siamo in una stanza vuota, asettica. Qui tutto è così. È un luogo intermedio, non ci sono le fiamme dell’inferno e nemmeno la luce del paradiso. Prima esisteva solo il limbo dei non battezzati, ma col tempo e soprattutto di recente i suicidi sono talmente aumentati che hanno deciso eravamo in troppi, così hanno creato un luogo apposta per noi…»
«Va beh, comunque io sono Mirò e anch’io non è che in vita avessi il nome ridicolo del pittore famoso. Ci tenevo a presentarmi anch’io, poi ti spiega lui che come vedi è quello bravo.»
«Ti ringrazio Mirò. Vedi Dalila, tu hai tentato il suicidio ma non sei morta, adesso dall’altra parte sei in un letto d’ospedale che combatti tra la vita e la morte, per questo sei nel Guado del Limbo. Ti trovi a metà tra la vita e questo posto, dove potresti finire.»
«Ma perché non ricordo niente?»
«Perché fintanto che non avrai fatto un passo decisivo tra la vita e la morte non ti sarà concesso di ricordare. Anche se dovessi restare in vita, non ricorderai niente di tutto questo.»
«Lo senti Dalila come parla bene? Era il primo del nostro corso. Il più bravo di tutti»
«Smettila Mirò, vuoi dire qualcosa anche tu?»
«No no, fai pure, te la stai cavando benissimo. Solo non capisco perché dobbiamo essere in due visto che fai tutto da solo» «Lo sai benissimo perché, non fare il finto tonto, dobbiamo essere in due, l’energia raddoppia, e non tendere tranelli per confondermi…»
«Tranelli? Quando mai? Qui il confuso sono io! Comunque Dalila noi dobbiamo raccontarti anche come siamo arrivati qui. Io personalmente sono ancora convinto sia uno sbaglio, perché dall’altra parte ero giovane e felice. Tra l’altro quando è successo la mia ragazza era nuda nel letto. Ti pare che uno scopa, a venticinque anni, nel pieno del vigore, poi si alza e si va a buttare dalla finestra? Voglio dire, magari lo fa se c’è qualcosa di storto, ma non era il mio caso. Eravamo innamorati, andavamo d’amore e d’accordo. Io lavoravo pure come dj in una radio, che era quello che volevo fare. Insomma io motivi per morire come un coglione non ne avevo…»
«Alt, che vorresti insinuare, che io sarei morto come un coglione?»
«Non intendevo questo, ma la mia è stata una fatalità balorda. Sono salito sulla finestra, nudo, solo per fare lo scemo, una goliardata. Poi però sono scivolato, la finestra era pure al piano terra! Ma porca vacca ho battuto la testa e pum! Morto sul colpo, ma non sono un suicida, questo ci tengo a precisarlo. Ho già fatto domanda di trasferimento. Tre volte. Prima o poi si romperanno le palle e mi dovranno mandare via.»
«Complimenti per il linguaggio. Dimentichi un particolare però: le lettere. Quelle le avevi scritte, le hanno trovate e parlavano con insistenza di morte, quasi esaltandola come scelta di un atto eroico e ribelle, più o meno era questo il tono, no?»
«Che c’entra, leggevo libri, erano tempi di contestazioni, a vent’anni tutti pensiamo a queste boiate e vogliamo sentirci eroi e qualche stupido come me le boiate le scriveva anche. Questo non dimostra affatto che sono salito su quella finestra con l’intenzione di buttarmi di sotto. Ero anche uno pauroso, figuriamoci!»
«E tu Dalì?» Chiese Dalila provocando il disappunto di Mirò per l’interesse che sembrava provare per il compagno.
«Io ero un musicista e anch’io sono saltato giù, nel vuoto, da un balcone del quinto piano. Ma vedi Dalila, chiunque scelga questo modo di morire non è mai veramente convinto, per questo sono definiti suicidi imperfetti. È un impulso, certo provocato da un malessere, ma chi dice che dieci secondi in più concessi al pensiero non ci avrebbero fermati? Spararsi, avvelenarsi, tagliarsi le vene, impiccarsi sono modi orrendi di morire, atti di coraggio se vogliamo, proprio perché si scelgono con freddezza. Saltare nel vuoto invece, non è mai un vero gesto di morte, ecco perché anche tu ti trovi in una stanza vuota…»
«Aspetta un attimo Dalì…. Forse le tue parole mi stanno facendo ricordare … si sta muovendo qualcosa»
«È un buon segno Dalila, rilassati e non forzare, è segno che potresti essere in tempo a tornare indietro e che noi siamo sulla strada giusta – Dalì posò la chitarra e si avvicinò a Dalila – la nostra energia sta funzionando.»

Mirò, un po’ spiazzato, provò ad avvicinarsi anche lui. Prese la mano di Dalila ma quella la tirò via bruscamente come se avesse preso la scossa.
«Shsh… fermi… quella che vedo sono io… sì, sono io. Sono nella cucina di casa mia, c’è una bottiglia sul tavolo, delle pillole. Sono stanca, ma calma, e le sto ingoiando, una dopo l’altra…»
«Pillole? Pillole hai detto?…» sbottò Mirò scattando in piedi.
«Sì.. sono delle pillole bianche, piccole…»
«Sonniferi…. Sono sonniferi! Ma non è possibile!»
«Aspetta Mirò…. »
«Ma ti rendi conto Dalì? Ha sbagliato di nuovo…»
«Cosa succede? Chi ha sbagliato?» chiese Dalila intimorita.
«Ma come chi? Quella cretina del centro smistamento. Dalì lo vedi anche tu no?»
«Mirò lasciamo stare adesso, stiamo funzionando, è già dall’altra parte, non ha importanza adesso»
«Ma non si possono fare questi errori e per giunta ripeterli. Ma come si fa a mettere a un centro smistamento una che dopo aver letto su internet la pagina di un cretino di santone sui miracoli dell’acqua ossigenata, decide di suicidarsi con quella perché voleva una morte dolce? Ma beviti l’acido muriatico come tutti no? No! Lei si è fatta fuori una bella sfilza di bottigliette di acqua ossigenata manco fosse l’acqua benedetta di Lourdes! Voleva una morte delicata lei! A quella il cervello le si è ossigenato, altro che!»
«Non capisco, cosa succede?» Dalila era spaventata.
«Succede che in questa stanza ci sei per una svista, avrebbero dovuto affidarti a chi si è suicidato nel tuo stesso modo. Noi ci siamo catapultati nel vuoto…. Beh, a dire il vero lui, io non proprio….»
«Smettila Mirò, non è il momento, ne parliamo dopo con la direzione…»
«Ma è la terza volta che sbaglia! L’ultima volta con quella che s’era tagliata le vene. A me già l’idea del sangue mi fa svenire, che gli dico io a una così?»
«Cazzo Mirò basta, datti una calmata…. Dalila come ti senti?»
«Strana, non riesco più a seguirvi, le parole vanno e vengono, ho la testa confusa, come se fossi sul punto di addormentarmi…» «Bene così Dalila, ti addormenterai da qui a poco… aspetta…. Guarda… – Dalì prese la chitarra e ricominciò a suonare – è il mio modo di salutarti Dalila. Stai tornando alla vita. Forza Dalila, vai. Ascolta la musica e torna, mi senti Dalila? A me manca la vita, qui….»

Dalila guardò prima Mirò e gli sorrise debolmente, poi si voltò verso Dalì e con le labbra accennò un bacio, un attimo prima di chiudere gli occhi.
«È andata Dalì…. Beata lei – disse Mirò – nemmeno si ricorderà niente. Questa cosa di restituire alla vita gli imperfetti e non essere neanche ringraziati, ecchecazzo, non mi piace per niente. Che sorte ingrata.»

Dalì smise di suonare e rise. «Invece se ci pensi è una cosa straordinaria, far tornare le persone in vita voglio dire… – poi si fermò – però sai che ti dico Mirò? In fondo mi sei simpatico…»
«Io? Ma se non mi sopporti!»
«Vero. Ma devo ammettere che non perdi mai la grinta, non ti rassegni. Questo mi piace.»
«E perché dovrei? Hai visto mai che uno di questi giorni mi sfasci la tua fottutissima chitarra in testa, mi addormento per la botta e quelli magari si accorgono finalmente che è stato un errore e mi rimandano dall’altra parte? Io qui ci sono per sbaglio, per sbaglio. Che dici, Dalì… può succedere no? Magari prima o poi succede davvero che torni anch’io di là.»

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