Uno sguardo e poi altro
Di Martino Ciano
La incontrai una notte, camminando lungo una strada stretta, costeggiata da alberi d’ulivo e da piante di rosmarino. Era sorridente. Era una bambina. Un vestito bianco e blu marino. Capelli di paglia, trecce di vimini. Viso luminoso. Pelle smaltata. Giocava con una palla color turchese. La faceva rimbalzare su una lapide di marmo. Si ergeva dal terreno come se fosse una porta che né apre né chiude una stanza.
Tu giochi, io ti guardo. Innocente il tuo sguardo, anche se non hai gli occhi. Orbite vuote inseguono i miei passi, la traiettoria della palla, l’oscurità che cammina pur sembrando immobile. Il mio respiro non spezza le tue risate. Tutto ti scorre vicino, sotto i piedi e sopra la testa, io riesco solo ad accendere una sigaretta. Continuo a osservare, a non capire, a non rispondere alle domande che mi faccio.
Che sia stato un sogno o un’allucinazione? Forse eri l’essenza dell’innocenza perduta, quella del tempo in cui lo sguardo non ha occhi per giudicare, né iridi per accogliere i traumi, ché loro s’imprimono come graffi… mie cicatrici oculari, venite che l’innocenza è morta e io finalmente ho occhi con cui guardare… e tu hai continuato a giocare mia bimba senza occhi, mia prematura disperazione. La palla rimbalzava, appariva annoiata durante la sua traiettoria… ché se non la lanciassi tu, bambina, resterebbe ferma, immobile, sospesa, nell’oscurità. Ma guarda che la Terra sta così nell’Universo, come una sfera turchese immersa in un mare nero.
E poi mi hai salutato. Hai alzato la tua mano di porcellana. Hai portato con te la palla. Ti sei sdraiata sulla terra, ti sei dissolta.
Non vedo più. Forse, ho visto tutto.