Traslochi: ecco il peso del passato
Articolo di Saverio Di Giorno. Foto di Martino Ciano
Chiunque abbia fatto un trasloco conosce con precisione il peso del proprio passato. Di più: sa esattamente che forma hanno i propri ricordi. Ancora: ha imparato con esattezza le dimensioni delle proprie esperienze. Sa che ci sono ricordi più docili di altri, che si lasciano arrotolare o piegare, mentre altri più egocentrici che richiedono e pretendono uno spazio tutto loro. Ha dovuto gentilmente chiedere al giorno del diploma di fare un po’ di spazio da condividere con il giorno della prima abitazione fuori, ben rappresentato da un vecchio mestolo regalato. E così, cercando di sistemare mozziconi di tempo in poco spazio, si spargono alcune riflessioni.
Uno. Non tutti i passati occupano lo stesso spazio. Ci sono esistenze più larghe di altre. In un mese di un contrabbassista o di un fisarmonicista, ma anche di un idraulico, ci stanno almeno tre o quattro anni di un ragioniere o di un insegnante. Non vi alterate: non è un giudizio di merito. È perché la carta e i libri sono più docili e dimessi degli attrezzi. O forse è perché il volume è un testimone bugiardo. Come il peso! A dare ascolto al peso invece, uno scrittore ha avuto un passato pesante quanto quello di un fabbro (avete mai provato a inscatolare decine di libri?).
Certo poi dipende anche da cosa decidiamo di portare via. Quali giorni vogliamo spostare da uno sgabuzzino all’altro sperando di essere più veloci delle tarme. Qualcuno pescherà decine di giorni familiari, altri solo giorni professionali. Qualcuno vorrà sigillare solo ricordi d’infanzia, mentre un altro le esperienze recenti. Ed ecco quindi che, se la polizia ferma per una multa il professor Nicolini, stimato docente di matematica, troverà nel portabagagli tal Nicolini, studente universitario brillante, figlio modello scomparso improvvisamente all’età di trent’anni. Ed eccolo ora incellofanato e a pezzi nell’auto dello stimato docente e buon padre di famiglia. O viceversa, se fermano l’avvenente segretaria Laetizia e sbirciano dal finestrino scopriranno la clandestina Laetizia proveniente dai Caraibi o da una discoteca di cui non si sa nulla né della famiglia, né della vita precedente a quella del trasloco. E così ognuno di noi si trascina pezzi di cadaveri pazientemente sezionati e imbavagliati.
Due. Il numero di giorni che decidiamo di trascinarci dietro è davvero esiguo. Scartabellando si salta dalla prima comunione, al diciottesimo, dal primo bacio alla laurea fino al primo figlio volando su enormi canyon di tempo. Tutti i giorni che ci sono voluti per andare da una tappa all’altra – che poi sono quelli che l’hanno resa possibile – sono derubricati in qualche registro sanitario o pagamento. Le fredde griglie della burocrazia sono un setaccio a maglie molto larghe in cui scivola quasi tutto.
Poi tocca riaprire tutto e rimettere in ordine. Ma quale ordine? Per tutto il tempo del trasloco la notte di venti anni fa, rappresa tra le pieghe della mutandina della ragazza conosciuta in Grecia, ha dovuto viaggiare con una serie di mattinate, sintetizzate dal tesserino da timbrare ogni giorno andando a lavorare. Si saranno guardati dall’alto in basso, senza sapere che in realtà sono parenti. Occorre mettere in ordine tutti questi giorni. Come si uniscono i puntini nei giochi della settimana enigmistica. Spoiler: nella maggior parte dei casi esce uno scarabocchio. Nella maggior parte dei casi è una linea confusa. Se un estraneo aprisse gli scatoloni di un trasloco penserebbe che ci sono cose alla rinfusa di più persone. Che qualche giorno di qualche estraneo sia erroneamente rotolato nello scatolone del proprio amico.
Quello che c’è in mezzo e lega una cosa all’altra sono i giorni che non abbiamo portato. Le porzioni di tempo non selezionate. Le sezioni di cadavere lasciate alla putrefazione. Però, forse, sono più interessanti rispetto a quelli che abbiamo deciso che valeva la pena tenere; selezionati, appunto, perché presentabili. Sufficientemente belli da poter essere mostrati agli altri o da mostrare in segreto a noi stessi qualche sera di nostalgia. Ma gli altri giorni sono più interessanti, quelli che vanno nei bustoni e poi nella discarica. Bustoni di errori, di tentativi, di momenti di confusione. Camionate di vizi, di vendette o di esaltazione. Buffo ed ironico che forse proprio nei momenti in cui siamo più irriconoscibili c’è la possibilità di conoscerci davvero.
O almeno, di essere autentici.