Tra improbabili certezze

Tra improbabili certezze

“Tra improbabili certezze” è un racconto di Caterina Fiume. In copertina una foto scattata e rielaborata dall’autrice

Silvia ha un gatto persiano, gliel’ha regalato la nonna, e mostra alla classe le polaroid che gli ha scattato. Le stanno tutti intorno, quasi addosso, come se non avessero mai visto un gatto, e dicono: hi, carino, che amore, cucciolo, piccino, e con le dita sulle foto fanno finta di accarezzare il pelo grigio di Baffetto, idioti! Se avessi un gatto, lo terrei tutto per me, non lo farei vedere a nessuno.

Ma chi me lo regala un gatto? Silvia ha una nonna e un gatto. Ma non ha la mamma, è defunta quando aveva due anni, così dice lei. Che brutta parola, morta è molto meglio, e poi defunto significa che ha compiuto la sua vita, l’ho cercato nel dizionario, e se uno viene incenerito da un fulmine, ha compiuto la sua vita? No, di certo. Avrebbe voluto continuare a vivere e quindi non è compiuta. Però se a lei piace… tanto nemmeno se la ricorda sua madre. Sua nonna è sua madre. Silvia ha un gatto e una nonna-mamma. Ha tutto. Beata lei! A me basterebbe un gatto.

Ma chi me lo regala un gatto? E poi non me lo farebbero tenere. Anche se non ci vuole poi tanto, lo addestrerei a non dare fastidio. Dormirebbe con me sotto la coperta, non smetterei mai di accarezzarlo, e forse ci penserei meno. Se la mente è distratta da una cosa piacevole, per esempio una musica, ci pensa di meno alle cose brutte, che so, che non hai soldi, che i tuoi genitori sono morti, e tanti pensieri così. Il gatto sarebbe una musica assordante, il suo ronfare mi aiuterebbe a dormire. Miele, la gatta della prof di francese che abita nella villa in fondo alla strada, ha partorito due cuccioli. Ci passo tutti i giorni di ritorno da scuola.

Oggi il cancello era accostato e sono entrata, li volevo accarezzare, ma Miele ha tirato fuori le unghie. Sono identici, neri con le zampe bianche e gli occhi azzurri. Stanno in un cartone che la prof ha foderato con asciugamani a fiori rosa, ci tiene ai cuccioli, sarà perché non ha figli. Anche se ha sistemato il cartone sotto la gronda e ho paura che se piove ci cade l’acqua dentro. Gliel’ho detto ma ha fatto un gesto con la mano, come a dire che importa? E la cenere della sigaretta che aveva fra le dita si è dispersa nel vento.

Allora me ne sono andata, tanto i cuccioli non li avrei potuti neanche sfiorare, ma ho chiuso il cancello, per gentilezza e perché, non si sa mai, qualcuno potrebbe sentire il miagolio e farsi venire strane idee. Ho fatto la strada piano, strascinando i piedi, anche se stava per piovere. Non ho fretta di tornare, tranne quando è il turno di Tea. Ci porta sempre un dolce, alza al massimo il volume della radio e facciamo festa. Oggi ci è toccato il minestrone di Bice. Francesco ha cominciato a strillare e si è beccato uno schiaffo.

È qui da un anno e non ha ancora capito che deve stare zitto, anche se la zuppa fa schifo o la coperta prude. E stasera prude più del solito, non ce la faccio proprio a coprirmi la faccia, e la luce della strada, che s’infila attraverso le stecche rotte della persiana, mi tiene sveglia, e comincio a pensare a come sono finita qui dentro. Mi accuccio abbracciata su un fianco. D’un tratto un rumore mi fa saltare, una specie di botto come a Capodanno, ma siamo a maggio. È un tuono. La paura prende spazio, mi formicolano le mani e i piedi, stringo gli occhi.

Un tuono squarcia la campagna, le galline sembrano impazzite. Mamma e papà corrono a ripararle nel pollaio. Mamma accompagna Bea, la più lenta, papà è già dentro con le altre. Piove così forte che non distinguo più il capanno. Un fulmine lo illumina d’improvviso, sorrido, riesco di nuovo a vederlo, non è più come prima, dentro c’è finito un albero.

Sento l’acqua scrosciare e spalanco gli occhi: i gattini dentro il cartone saranno zuppi. Infilo la giacca a vento e le scarpe da ginnastica, attraverso il corridoio senza fare rumore ed esco dalla porta sul retro. Mi metto a correre, il cuore che salta, i piedi nelle pozzanghere, le mani aggrappate ai lacci del cappuccio. Il cancello della prof è accostato. I gattini miagolano disperati sotto la pensilina da cui l’acqua scivola giù come un torrente. Miele non c’è. Non è la prima volta. Infilo i gattini nelle tasche della giacca, hanno le ossa piccole e tenere. Giro intorno alla casa e intravedo una luce fioca dietro i vetri appannati della porta a vetri. Appiccico il naso prima di bussare e la vedo. È distesa sul divano, la sigaretta fra le labbra, accarezza Miele acciambellata sulle sue gambe.

I gattini hanno smesso di miagolare. Spalanco il cancello e corro via. Imbocco la strada di casa, un vialone dritto e largo, fiancheggiato da pini lunghi e sottili, che sembra l’ingresso di un cimitero.

Mentre aspetto che mamma e papà escano dal capanno mi addormento sulla sedia con Lucy, la gattina, sulle gambe. Quando vengono a prendermi la mattina dopo, l’albero ha schiacciato tutto, li sento dire, e mi mettono davanti un lecca-lecca enorme colore dell’arcobaleno. Su vieni, dice la ragazza con la faccia lentigginosa e i denti grossi, si chiama Tea e mi tiene per mano fino a che non ci sediamo dentro un furgoncino con la scritta blu Amici degli infelici. Lucy! Grido a un tratto. Ma è troppo tardi, il viale è finito e la casa si è già rimpicciolita. Lo zucchero arcobaleno del lecca-lecca, misto alle lacrime, cola giù dal mento e s’appiccica alla maglietta.

I gattini avranno fame, non ho niente per me, figuriamoci per loro. Silvia a quest’ora starà già dormendo beata con Baffetto sotto le coperte.

Rallento il passo, mi fermo. Le case intorno sembrano tutte spente, s’intravede solo il bagliore tremolante dei lampioni. Faccio dietrofront e ricomincio a correre, scansando le pozze profonde. Il cancello è rimasto aperto, la luce arancione è ancora accesa e la porta a vetri accostata, Miele non c’è. A un tratto la sento miagolare, è sotto la pensilina. La prendo in braccio e stavolta non esce le unghie. Torno sul retro e apro la porta finestra quanto basta per infilarci Miele e i gattini. La prof sta russando, non s’accorge di niente, neanche di Miele che allatta i piccoli distesa ai suoi piedi.

Scappo via, ci manca solo che mi becchino. Francesco è uno spione, se si sveglia sono guai. Tea mi ha detto che per essere felici ci vuole poco, ma dobbiamo prima capire cosa è poco. Io spero che la scritta blu sul furgoncino prima o poi la cancellino.

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