Il puma di Jean Stafford

Recensione e foto di Antonio Maria Porretti. In copertina: “Il puma” di Jean Stafford, Adelphi edizioni
La scalcinata routine di un sobborgo nei dintorni di Los Angeles – Covina – da una parte, con le sue cerimonie celebrative del piu frusto perbenismo; la spericolata, incandescente brutalità e sfrontatezza di un ranch – Bar K – fra le montagne del Colorado, dall’altra.
Nel mezzo, gli impeti, i turbamenti e i dissidi di un’infanzia già in odor di adolescenza.
Ultimogeniti di Rose Fawcett, madre dai sentimenti annacquati da una doppia vedovanza, e soprattutto infaticabile istruttrice di buone maniere, Ralph e Molly sono sempre più recalcitranti ad assuefarsi al verbo materno, a differenza di Rachel e Leah, le sorelle maggiori, già tutte compenetrate e comprese nel loro futuro ruolo di brave signore.
La morte improvvisa del nonno Kenyon, appena giunto per la sua visita annuale in casa della figliastra, insieme all’arrivo dello zio Charles, fratellastro della signora Fawcett, per assistere alle esequie del comune genitore, si riveleranno per fratello e sorella gli albori di un parabola di identificazione. Mandati a trascorrere l’estate nel ranch, venendo a contatto con la maestosità di una natura che li scuote e agita come ramoscelli sul punto di biforcarsi e divergere, Ralph e Molly inizieranno progressivamente a sciogliersi dai nodi di esperienze e emozioni che li hanno tenuti avvinti fino a quel momento.
Una separazione dolorosa, come tutte quelle imposte e rese obbligatorie dalla crescita. Ineluttabilità di una nuova stagione alla quale entrambi finiranno per adattarsi, scegliendo direttrici opposte e contrarie.
Ralph, immergendosi senza riserve nel respiro di quella natura selvaggia la cui magnificenza è fecondata dalla sua stessa asprezza e crudeltà; Molly invece rincorrendo disperatamente la scia di un’età che la sta abbandonando, ma alla quale non intende ancora rinunciare. Un rifugio troppo confortevole per il suo senso di inadeguatezza.
Un processo di spaccatura, affermazione e rifiuto che culminerà nel corso di un intero anno che, entrambi, trascorreranno in quell’angolo di Ovest. Con risvolti e conseguenze imprevedibili quanto irreparabili.
Su di essi, nelle zolle ancora troppo fresche e friabili dei loro animi, si imprimeranno con costante e maggiore forza le impronte di un puma femmina avvistato in diverse esplorazioni di quel piccolo continente che incastona i possedimenti dello zio Charles.
Simbolo di vitalità e energia, ma anche di pericolo e agguato che il destino può sferrare contro e a danno di un essere umano, quel leone di montagna si configurerà come scrigno dei loro desideri e ossessioni. Nel nome con cui viene ribattezzato, ossia Riccioli d’oro come la protagonista della celebre fiaba, si può cogliere e annusare l’aspettativa di una felicità futura, proiettata dalla speranza e dalla fiducia verso un avvenire ancora da incontrare e scoprire.
Come pure la sensualità allettante e soggiogante di una cattura, il soddisfacimento legato al possesso. O ancora, la consolazione per un conflitto irrisolto, come nel caso di una rivalità fra consanguinei, per lenire la sofferenza del non trovare il proprio posto sul palcoscenico della vita.
Romanzo di formazione a pieno titolo, “Il Puma” di Jean Stafford, pubblicato per la prima volta nel 1947 e ora proposto al pubblico italiano da Adelphi, è tra i più roventi e crudeli del genere mai letti. Le pagine di “Il Puma” sanno di carne che si lacera e si mescola al sangue, nonché di sangue che imbeve la superficie su cui scorre; e di terra che può tanto donare diamanti grezzi da sgrossare e levigare, quanto tenerli imprigionati nelle profondità del suo ventre.
Sono pagine, parole, che sembrano fuoriuscire direttamente dai paesaggi che descrivono, scritte su sassi, tronchi, foglie che riproducono e riflettono emozioni e moti dell’animo primordiali.
E non posso fare a meno di concludere queste mie impressioni di lettura, senza rivolgere una standing ovation comme il faut per il lavoro di traduzione svolto da Monica Pareschi.
Se mai esistesse un Oscar da assegnare in tale ambito, lei ne sarebbe una candidata ideale.