Rosario Palazzolo. La vita schifa. Arkadia

Rosario Palazzolo. La vita schifa. Arkadia

Recensione a cura di Martino Ciano – già pubblicata su Il Suddiario

La vita schifa è la confessione di un ex killer in cui più che il pentimento spicca la necessità di comprendere come si sia giunti a determinate scelte. Ernesto Scossa, protagonista di questo racconto catartico, non ha paura di andare al cuore delle cose e, soprattutto, lo fa a modo suo, mettendo a nudo il suo pensiero senza perdersi in sterili elucubrazioni. Il risultato è una prosa maccheronica, ironica e con tutti gli errori interpretativi del caso.

Scossa, infatti, parla la lingua del popolo, dell’animale emarginato che deve adattarsi a un ambiente e che non può fare a meno di scendere a compromessi. Stipendiato dai boss e rispettoso delle regole della malavita, Ernesto deve per forza abbandonare la terra, grazie alla quale trovava la sua dimensione, e accantonare quel senso di riscatto sociale che lo portava a leggere anche qualche libro. Nonostante tutto, l’amore viene in suo soccorso, perché davanti a una creatura come Katia, donna ideale che Ernesto da sempre cercava, anche la saggezza di rango e la legge del clan vanno a farsi benedire.

Pertanto, l’amore diventa una funzione del linguaggio che ammalia e che è capace di redimere. Sia ben chiaro, Palazzolo non cade in sdolcinati stereotipi o nelle solite formule che hanno lo scopo di conquistare il consenso di un certo tipo di pubblico. Scossa, infatti, è e resta un uomo in cammino che ha un pessimo rapporto con il mondo, e non perché sia cattivo o burbero, ma perché è ingenuo, malleabile e incapace di ribellarsi alla logica dell’appartenenza anche quando si rende conto di essere un diverso.

Tutti questi elementi rendono il romanzo di Palazzolo un libro ironico. Ernesto, infatti, fa pur non volendo, agisce ma non pensa, e quando pensa non può più tornare indietro. L’amore, quindi, lo rende lucido, lo sveglia dalla sua comfort zone, e proprio nel momento in cui deciderà di cambiar strada, si renderà conto di quanto è stato ingenuo.

Ma è giusto ribadire che a rendere speciale il libro di Palazzolo è il linguaggio usato dallo scrittore palermitano. Infatti, la confessione di Ernesto è il discorso di chi ha vissuto di esperienze contrastanti; è la parola di chi sa che la strada inganna, incanta e solo alcune volte salva; è la ribellione di chi non vuole sempre capire ciò che lo circonda; è la maledetta convinzione dei troppi che non tutti gli uomini contribuiscano a fare la storia.

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