Referendum del 12 giugno. A chi interessa?
Articolo di Antonella Perrotta
Completiamo sinteticamente la disamina dei quesiti referendari con i quali gli elettori dovranno confrontarsi domenica, 12 giugno. In particolare, ci occupiamo oggi del terzo, quarto e ultimo quesito, accomunati dal riguardare l’abrogazione, laddove si raggiungesse il quorum e vincessero i SÍ, di norme riguardanti la magistratura.
Il terzo quesito referendario, dalla formulazione improponibile per un comune elettore e non solo, è quello che riscuote maggiore interesse. Riguarda, infatti, la separazione delle funzioni dei magistrati, ovvero la separazione delle “carriere” su cui si discute già da tempo.
Attualmente, un magistrato può ricoprire alternativamente nel corso della propria vita professionale il ruolo di giudice o di pubblico ministero passando, quindi, facoltativamente e senza troppe limitazioni, dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti.
Se prevalessero i SÍ, si pretenderebbe una scelta irreversibile tra le une e le altre funzioni a inizio carriera, nell’ottica di privilegiare una sorta di “specializzazione professionale” del magistrato nel ruolo prescelto di giudice o PM. Se prevalessero i NO, invece, tutto rimarrebbe invariato.
Il quarto quesito riguarda la partecipazione dei membri laici alle deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari.
Chiariamo, in premessa, che i Consigli giudiziari sono organi collegiali istituiti presso ciascun distretto di Corte d’Appello, dei quali fanno parte il presidente e il procuratore generale presso la Corte d’Appello, cinque magistrati togati, nonché una rappresentanza di Giudici di Pace e avvocati iscritti nel distretto. Il compito principale è quello di valutare l’operato dei magistrati del distretto, sì da incidere sulla loro progressione in carriera. Tuttavia, ad oggi, tale compito è riservato ai soli magistrati togati che compongono il Consiglio.
Il quesito referendario si pone in un’ottica partecipativa poiché chiede se estendere, o no, il novero dei soggetti legittimati a pronunciare un giudizio di professionalità che incide sugli scatti di carriera dei magistrati di un determinato distretto, ricomprendendovi anche avvocati e professori universitari. Se, prevalessero i NO tutto rimarrebbe com’è e le dette valutazioni professionali continuerebbero a spettare ai magistrati stessi.
Il quinto e ultimo quesito riguarda, invece, l’abrogazione delle norme in materia di elezioni dei componenti togati del CSM. Attualmente, un magistrato per potersi candidare all’elezione a membro del Consiglio Superiore della Magistratura deve possedere una lista di almeno venticinque, e non più di cinquanta, magistrati presentatori che non possono proporre più di una candidatura in ciascuno dei collegi né possono candidarsi a loro volta.
Il quesito, volto a ridimensionare il ruolo delle “cordate” o “correnti”, chiede l’abrogazione di tale norma sicché, se vincessero i SÍ, detto sbarramento verrebbe abrogato e ciascun magistrato potrebbe liberamente candidarsi.
Ciò posto, non vi è chi non veda la complessità e la tecnicità delle materie su cui, eppure, gli elettori sono chiamati a pronunciarsi. In un clima generale, fra l’altro, di scarso interesse mediatico verso il plebiscito stesso. D’altronde, i tecnicismi non fanno audience, riservati come sono a una cerchia ristretta di cultori della materia che, forse, potrebbero tollerarne l’ascolto. Meglio sarebbe stata, a parere di chi scrive, una formulazione più comprensibile e facilmente intuibile. Meglio sarebbe stato discutere apertamente delle finalità sottese al referendum. Meglio, probabilmente, che a mettere mano alle norme fosse stato il legislatore che, per legiferare, è stato eletto.
Ma, allo stato, non resta altro che aspettare la risposta dei cittadini, sperando, almeno, di aver fatto un po’ di chiarezza…