Sodomìa. Saverio Di Giorno e il “parlar chiaro” della ‘ndrangheta e del potere

Sodomìa. Saverio Di Giorno e il “parlar chiaro” della ‘ndrangheta e del potere

Recensione di Martino Ciano. In copertina “Sodomìa” di Saverio Di Giorno, con prefazione di Otello Lupacchini, postfazione di Claudio Cordova e contributi di Claudio Dionesalvi. Il libro è autoprodotto, la pubblicazione è del 2023.

Quando Pasolini disse che il consumismo sarebbe stato il peggiore dei fascismi, annunciò una profezia, perché nulla più del consumismo ci ha reso famelici, perennemente affamati. E proprio di affamati parla il libro di Saverio Di Giorno. Certamente tra queste pagine ci sono temi cari a noi calabresi, vedi la ‘ndrangheta, la lotta tra magistrati, le connivenze tra politica e criminalità, la democrazia da discount che viene spacciata alle nostre latitudini, la fuga dalla povertà materiale, la necessità di dominare sugli altri per allontanare un intimo senso di emarginazione, il lavoro nero come prassi.

Di Giorno addirittura si prende la briga di andare a parlare con il pentito della ‘ndrangheta cosentina, Franco Garofalo. Proprio Garofalo era rimasto colpito dal precedente libro di Saverio, ossia Teorema Cosenza. Quando decise di collaborare con la giustizia, Franco si presentò dal magistrato e disse di essere stanco. Ah sì, la stanchezza è uno dei sintomi della modernità, rende tutti nervosi, intrattabili e pronti a scattare come molle.

Saverio introduce il suo libro partendo dalla distruzione di Sodoma, Dio polverizzò quella città e concesse a pochissimi di mettersi in salvo, ma ai fortunati impose di non voltarsi, altrimenti sarebbero diventati statue di sale. La Calabria è così, ti dà la possibilità di abusare degli altri, di sentirti come Dio, ma se sei un fesso, uno che vuole meritarsi onestamente il proprio posto, devi andartene e non voltarti indietro, perché come un’esperta puttana Lei sa ammaliarti.

A parlar male della Calabria non ci vuole niente, ma anche parlarne bene è semplicissimo; in fondo, ci sono tante cose belle, c’è molto da costruire, c’è tantissima pulizia da fare. Insomma, se hai buona volontà la Calabria è il posto giusto per te. Saverio è un giovane di “buona volontà”, fa i fatti e sa anche scrivere; le parole sa allinearle con precisione, sa spararle con decisione, sa dare a ognuna di loro la giusta traiettoria.

Sodomìa non è un libro d’inchiesta, o meglio, è anche quello ma non si ferma alle circostanze del genere. Sodomìa non è solo una ricostruzione di fatti noti attraverso il copia e incolla delle ordinanze delle Procure calabresi, o meglio, c’è anche quello ma è davvero una minima parte. Sodomìa è il più alto esempio, finora capitatomi tra le mani, di racconto sociologico sulla Calabria. Infatti, la Calabria è mare, scogli, tramonti, peperoncino, buon cibo, ospitalità, calore umano e ingenuità, ma è anche quella terra in cui uomini piccoli piccoli, tra cui non mancano pluridecorati e plurilaureati, sono stati resi grandi da servi che hanno scelto volontariamente la propria schiavitù.

Tale sistema di regole, spacciato inizialmente come mutuo soccorso e lotta sotterranea all’invasore, è entrato così tanto nella coscienza di ognuno che tutti noi ne portiamo i segni e ci facciamo i conti. Ecco perché in questo libro troveremo magistrati spacconi, professionisti dell’antimafia, politici, boss, burocrati e poveri Cristi alle prese con una famelica volontà di potere. Infatti, dopotutto, nel bene e nel male, il calabrese è figlio della Magna Grecia, conserva in sé uno spirito da sofista, non è attaccato solo al vile denaro, ma a qualcosa di peggio, ossia al raggiungimento del potere. E il potere come si conquista? Tirando dritto, rispettando un codice d’onore, mantenendo promesse e riserbo su fatti scabrosi, facendosi i cazzi propri.

Ecco quindi la storia di un pentito certificata da fatti, da indagini e da fascicoli archiviati. Saverio si concentra su Cosenza, la circoscrizione che da Falerna a Reggio Calabria definiscono la Provincia Babba, ossia dei quaquaraquà. Infatti, i cosentini avevano di più la mentalità da gangster, magari erano anche amanti dei fumetti della Marvel. A loro la tradizione non piaceva, se ne sono fottuti di Polsi e di quel Santuario intorno al quale ancora oggi scacazzano le vacche sacre. I cosentini sono stati sovvertitori e avanguardisti.

Ma Saverio ci fa vedere anche un’altra cosa: il potere è perverso e perverte tutti. E qui c’è un altro richiamo a Pasolini e al suo incompiuto Petrolio, in cui i demoni diventano di carne e ossa. Saverio li chiama per nome, d’altronde sono cose che si trovano nelle carte delle inchieste.

Conosco Saverio di persona, lui è di San Nicola Arcella, io abito a Tortora; dieci chilometri ci separano, ma la lingua è quella, l’abbiamo imparata sul campo e la parleremo fino alla morte. Possiamo permetterci il lusso di dire certe cose, perché ci sono voluti anni per saper distinguere il semplice significato delle parole dal reale potere che possono sprigionare. È un po’ come la teoria della relatività di Einstein: da qualcosa di innocuo, che se ne sta nella sua inerzia, puoi sprigionare un uragano. L’importante è che non resti “a riposo” e che la velocità aumenti costantemente.

Forse, è tempo di leggere con attenzione Saverio Di Giorno.

 

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