Pierre Minet e la poetica della sconfitta

Pierre Minet e la poetica della sconfitta

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “La sconfitta” di Pierre Minet, Neri Pozza, 2023. Questo libro fu pubblicato per la prima volta in Francia nel 1947. Ringrazio Marco Vetrugno per il consiglio di lettura

Da Reims per cercare a Parigi la libertà. La fame di vita, di creatività, spinse Pierre a lasciare adolescente la casa paterna e la vita di provincia. Inseguì i sogni di ribellione, anche se ancora adolescente non sa mai perché si ribella, lo fa e basta. Inconcludente è la rivolta, il più delle volte, ma non importa; essa è necessaria, anche se rende accattoni, dissoluti; anche se poi tradisce i desideri. A distanza di decenni, ciò rende La sconfitta non solo un testo sulla poetica dello spaesamento, ma un itinerario di disfatta e di rinascita.

Apparso in Francia per la prima volta nel 1947, Pierre Minet scrisse una confessione violenta. Raccontò di quella necessità di tuffarsi nel mondo che l’autore, tra i principali esponenti insieme a Gilbert-Lecomte, Daumal e Vailland del movimento “Le Grand Jue”, riuscì a compiere, ma che gli apparve vana. Eppure, la libertà non è mai vana e anche se è impossibile acciuffarne il senso, il significato, essa guida e guiderà i sogni.

Minet si sentì sconfitto perché non sapeva comprendere cosa fosse diventato durante quell’esperienza che caratterizzò gli anni tra le due guerre mondiali e che mise nero su bianco tra il 1945 e il 1946, vergognandosene. Da fanatico cattolico, quasi prete mancato, egli arrivò a Parigi adolescente per immergersi tra bordelli e scorribande notturne, ma soprattutto per inseguire il suo sogno artistico. Poco gli importò di essere considerato un illetterato, egli visse in balia dell’intuizione, dell’ingenuità che rende schietti e che abbandona nella disperazione. Cercò l’inferno e lo trovò guardandosi nell’anima.

A volte si vince e a volte si perde, Pierre alla fine si sentirà sconfitto, anche se, dopotutto aveva vinto. Il movimento Le Grand Jue era prima di tutto un’esperienza mistica; si proponeva di aprire tutte le porte della percezione, di insegnare a godere solo nella poesia e nell’immaginazione. Fu disconosciuto dai surrealisti però, ma i suoi componenti ne andavano fieri, perché si erano allontanati dai salotti e dai borghesi. Poi… è andata in un altro modo.

È un libro di nuda vita, di confessione e pentimento, di esaltazione della libertà, di sconfitta. Ed è proprio la sconfitta l’essenza della poesia, ché il poeta sa che si decanta un significato passeggero, evanescente, che rende tutto distante. E quel vivere nel mondo da reietto, che non è né bello né brutto, così come non è bello il mondo di chi vive tra regole e appigli moralistici, è solo una prova di forza che rende l’esistenza ricca di un sentire antico e totalizzante, come un canto di Sirene che ammalia e poi tradisce, eccita e poi avvizzisce, rinvigorisce e poi ammazza.

Ecco Minet e la sua tragica commedia. Un libro scritto con il sapore del sangue in bocca e l’ansia da prestazione, in cui le parole formano un verso infinito che inghiotte significati, sogni, speranze e timori, per restituire all’uomo il suo spaesamento con tutti i suoi tentativi di salvezza.

Ma in fondo, nessuno si salva…

Post correlati