“Poco più di niente”. Marco Masciovecchio e la poesia della testimonianza
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Poco più di niente” di Marco Masciovecchio, Edizioni Ensemble, 2023
Sa di salvezza e di condanna a morte, sa di speranza e di accettazione; versi lucidi e affilati fanno di queste poesie delle testimonianze forti, in cui la vita scorre insieme ai ricordi mentre tutto si rinnova, anche quando la morte è l’unica cosa che si lascia percepire nitidamente.
Storie di borgate, di scelte che non cambiano le sorti degli ultimi. I vinti restano tali e persino Dio fa le sue preferenze. È un mondo che non c’è più quello che Masciovecchio annota sul suo taccuino; siamo immersi in qualcosa di peggio, ossia nella consapevolezza che non ci sono più ideali collettivi ai quali aggrapparsi.
Ho conosciuto Cristo a sedici anni/seduto sopra al cesso, il dito sul grilletto/in attesa di un briciolo di coraggio/per scrivere l’ultima parola…. Una ragazza bionda vendeva abbonamenti/”Lotta Continua” e si fermò a parlare/pensai all’istante che Cristo è vivo…
Così, se da una parte l’apparizione di una attivista di Lotta continua è stata capace di salvare un ragazzo dalle sue manie suicide, relegando a una utopia il suo riscatto, dall’altra rimane un vuoto che non può più essere riempito, in cui il diseredato continua a sguazzare; in lui infatti si è spenta la voglia di lottare.
Veniamo così catapultati in componenti nei quali convivono desiderio e disillusione, in cui svanisce ogni forma di riscatto in favore di un silenzio atroce che aiuta a mandare giù i soprusi.
L’insonnia è la mia badante/di notte pulisce la mia bocca/sporca d’infetto sangue/veleno ingoiato durante il giorno/dagli orifizi spurgo.
Il lamento si fa arte e richiama a sé l’amore. Amare è appartenersi e donarsi, ma è anche rivolta contro Dio e contro la Necessità. L’amore è anche ricordare che tutti apparteniamo allo stesso destino.
Giulio scese di casa, farfugliava ancora,/l’elastico legato, stretto al braccio/rosso, com’era rossa la puntura/tirava calci con forza smisurata/ridendo come un pazzo, urlava:/”m’avete tutti rotto er cazzo!”/lacrime e sudore scendevano sul viso/tornò bambino, s’accovacciò in silenzio vicino al palo/s’addormentò per sempre, solo com’era nato.
Puzza di Novecento questa raccolta di poesie e ciò è il miglior profumo che possa invadere un branco di disillusi. Ci sono ricordi che trafiggono come spade, che lasciano ferite sempre pronte a riaprirsi; l’autore romano strappa via la crosta e fa defluire il sangue, le sue liriche sono un coagulo di parole infette.
Il poeta sembra quasi avere misericordia dei suoi ricordi, che sono ormai poco più di niente di una vita comune, ma che di umanità avrebbe voluto cibarsi.
Dentro i tuoi occhi cercavo/un attimo di eterno/prima di sanguinare durante il giorno.