La Perla. John Steinbeck e il cieco desiderio di riscatto di Kino

La Perla. John Steinbeck e il cieco desiderio di riscatto di Kino

Recensione e foto di Marco Ponzi

Ci sono molti scrittori che rimangono fedeli a un tema e alle sue declinazioni. Taluni ne fanno un’ossessione. C’è chi lo fa per contratto e chi per motivi che nascono da riflessioni di varia natura. Altri invece preferiscono spaziare, allontanarsi da un argomento che poi, magari, sviscereranno più avanti o forse mai, nel modo che sarà a loro più congeniale. Mentre chi scrive per contratto questo problema, di solito, non lo ha perché si adatta un po’ al mercato o alle richieste dell’editore.

Per quel che ho letto di John Steinbeck, posso certamente dire che lui sia stato un autore che aveva l’urgenza di raccontare la propria contemporaneità senza bisogno di rispettare un contratto, se non quello con se stesso e questo traspare dalle pagine dei suoi scritti.

La scrittura di Steinbeck si conferma, per me, intensa, densa, profonda, una scrittura in cui il raccontato appare sotto forma di pensiero, di riflessione, qualcosa che aleggia nell’aria, una voce narrante indecifrabile che osserva senza giudicare.

Ho ritrovato anche in questo breve libro un distacco affettuoso o, se vogliamo, un’empatica indifferenza dell’autore nei confronti dei suoi personaggi, con sfumature malvagie, di una malvagità tenera che vuole esaltare un bene che verrà fuori dal vissuto dei protagonisti. Potrei dire “un male a fin di bene”. Potrebbe quasi sembrare un autore che non ami le sue creature e questo, per uno scrittore, sembrerebbe bizzarro. Ma qui sta anche il talento di un narratore che è il primo ad ascoltare la storia scritta da lui stesso.

“La perla” è un racconto lungo che definirei una novella e che ruota attorno alla vicenda del pescatore Kino che ritrova una preziosa perla la quale diventa così la proiezione del suo desiderio di salvezza e riscatto, a dispetto di tutto, ciecamente. Da quel momento, la prospettiva di Kino cambierà.

La perla diventa una sorta di gratta e vinci ante litteram, il colpo di fortuna dovuto a una felice coincidenza, l’ossessione ludopatica che cancella qualsiasi altra considerazione razionale, l’illusione di ricchezza data dalla necessità (che oggi non c’è, non sempre, ma che al tempo della vicenda raccontata rasentava la miseria).

La perla è l’interruttore che spegne la rassegnazione e riaccende la speranza, non per sé ma per il figlio appena nato e che fa muovere le cose, anche troppe.

Ma al disperato basta davvero poco per tentare il salto, la motivazione è latente, non è sopita del tutto: un po’ come potrebbe accadere a un carcerato che, meritevole o no, possa aspirare a uno sconto di pena e, da un giorno all’altro, si ritrovi graziato. La gioia immensa per l’evento inaspettato sconvolge quei piani che ancora non sapeva di avere, ancorché la vita di persone con poche risorse si presti più facilmente a essere sconvolta a causa di certi tipi di miraggi.

Ebbene, Kino trascina con sé moglie e figlio, mentre l’avidità altrui diventa furia cieca, subendo gli eventi che si era immaginato favorevoli e che invece lo condurranno a un destino che, per uno nella sua condizione, potrebbe essere ritenuto più ingrato del previsto. Ma questa visione del proprio destino non sarà definitiva.

La storia è una riflessione dinamica sulle fortune della vita: di alcune si è coscienti, di altre meno. Talvolta si confonde sfortuna per fortuna e si agisce in relazione a quanto si è percepito fino al momento in cui qualcuno o qualcosa non ti fa aprire gli occhi. A volte è una perla, altre volte un pugno nello stomaco. In questo caso la perla è il pugno nello stomaco che serviva al protagonista per risvegliarsi.

Da collezione.

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