“Un brav’uomo è difficile da trovare”. Flannery O’Connor tra humor nero e grottesco
Recensione di Giusi Sciortino. In copertina: “Un brav’uomo è difficile da trovare” di Flannery O’Connor, traduzione di Gaja Cenciarelli, Minimum Fax, 2021
“Un brav’uomo è difficile da trovare” (Minimum Fax, 2021) è una raccolta di racconti di Flannery O’Connor pubblicata nel 1955 che combina umorismo nero, senso del grottesco e una profonda introspezione su grazia, ferocia, moralità/immoralità e fede per esplorare la complessità della condizione umana.
L’universo letterario di O’Connor cattura l’essenza idiosincratica del Sud rurale attraverso le situazioni drammatiche che personaggi complessi si trovano ad affrontare vivendo sulla propria pelle un senso del tragico stemperato da un’ironia tagliente. I racconti spesso culminano in finali sorprendenti e, a volte, brutali che costringono il lettore a riflettere sulle proprie convinzioni e pregiudizi e a confrontarsi con le oscure realtà della natura umana, sulla possibilità o, viceversa, impossibilità della redenzione, checché ne dicano gli insegnamenti più confortanti della religione.
Uno dei punti di forza di “Un brav’uomo è difficile da trovare” è la capacità di O’Connor di ritrarre personaggi imperfetti e profondamente umani, ciascuno alle prese con le proprie lotte morali e spirituali, che riescono a scardinare cliché, preconcetti e ipocrisie. Si tratta di storie intrise di simbolismo religioso e questioni esistenziali che offrono una lettura tanto provocatoria quanto avvincente.
Non ci sono tempi totalmente sacri: la natura umana è complessa, talvolta duplice, e bene e male si fondono, persino in quella fase dell’esistenza umana così idealizzata come l’infanzia, vuoi nella bambina che scopre la propria cattiveria, vuoi nell’ingenuità del ragazzino che non è mai stato in città e non ha ancora visto persone di colore.
Nel racconto d’apertura, che dà il titolo alla raccolta, i tentativi della nonna di appellarsi alla presunta bontà del Balordo (un criminale appena evaso dal carcere) rimangono inascoltati, e i suoi accenni alla carità cristiana suonano paradossali; il Balordo, pur non negando l’esistenza di Gesù, non ammette redenzione nei suoi comportamenti, rivelando emblematicamente «non c’è nessun piacere all’infuori della crudeltà» per poi cambiare idea dicendo «nella vita non esiste il piacere». Ammissione di colpa o ineluttabilità dell’imperfezione umana? I racconti di O’Connor sono impreziositi da suggestive descrizioni sia urbane che naturalistiche, come il fiume, elemento naturale prima ancora che simbolo sacro.
La religione però non pare salvare, nemmeno nel battesimo del ragazzo affascinato dall’idea di essere “lavato” dal peccato, che diviene invece incolpevole vittima sacrificale. Per colmo d’ironia, il bambino è omonimo dell’oscuro e singolare predicatore che lo battezza. In “La vita che salvi potrebbe essere la tua”, il brav’uomo difficile da trovare del racconto iniziale si ripropone in chiave sentimentale: il vagabondo Shiftlet, dopo aver dichiarato di avere «un’intelligenza morale», si contraddice ingannando la ragazza che sposa in cambio di un’auto. Shiftlet enuncia diverse verità apodittiche, perlomeno per lui, come ad esempio che il vero male del mondo è il menefreghismo della gente, come il suo, per esempio.
I personaggi di O’Connor, pur conoscendo la morale, la traviano, la ignorano deliberatamente per scelta consapevole o natura malvagia. I ribaltamenti in questo narrare sono continui, dolorosi e allo stesso tempo amaramente ironici e beffardi, ma non si tratta di cinismo, piuttosto di pietas per le bassezze umane che vengono perpetrate in barba a morale, educazione e religione.
In un mondo dove l’ingiustizia è all’ordine del giorno, spesso l’unica possibilità di salvezza consiste nel lottare con le unghie e con i denti pur di preservare un minimo di dignità, in ossequio alla regola generale “mors tua vita mea”. Una lettura importante e una scrittrice fondamentale della letteratura americana.