Omertà, non altro
Articolo e foto di Martino Ciano
Ho aperto il cuore ai venti e gli ululati mi hanno aggredito i timpani. Era una sera da febbre: temperatura al di sopra delle medie del periodo, brezza pungente, tasso di umidità adatto per ammalarsi. Di lì a poco sarebbero finite per te le stagioni. Una sola notte, un solo giorno, un unico anno che non si può né raccontare né contenere nella memoria… Necessità e Giustizia sono divinità agghiaccianti, a loro si sacrificano le speranze anche mentre si dorme.
Un uomo muore, la maggior parte se ne fotte…
Ucciso per mano altrui, la maggior parte continuerà a fottersene…
Nel suono delle parole si nasconde la sinfonia della vita. Ho adesso lettere strappate da un velo di tristezza, esse sono per tutti e per nessuno. Giusti e malvagi fanno la stessa fine. Di fronte a questa verità anche la crudeltà ha pietà per sé stessa, a volte.
Spasmi di morte,
di vene e arterie tranciate…
Ti fu chiaro in quell’attimo che si pagano a caro prezzo le gioie di ieri che non abbiamo apprezzato, i malanni da cui siamo guariti, le bestemmie che pensavamo rivolte ad altri, il male compiuto senza rendercene conto, l’imbecillità di sentirsi immortali. Nessuno ha visto, ma tutti hanno intuito, pertanto sanno e conoscono in profondità. Eppure nessuno parla, perché la voce innesca dubbi tra gli altri. Le parole, una volta pronunciate, possono anche accendere zizzanie, mentre i pensieri se ne stanno lì, nella mente, in prigione, in felice attesa.
Anche oggi ci siamo purificati la coscienza, abbiamo mangiato, bevuto, sorriso al sole, barattato il tempo prezioso con un vile lavoro; anche oggi abbiamo dimenticato e domani continueremo, allegramente coinvolti nel gioco della fatalità. Vanità delle vanità è voler sapere troppo, figuriamoci pretendere la verità. Nulla di nuovo sotto il sole.