Natura in fiamme. Per Salvatore Bella

Prosa di Giuseppe Bella. In copertina un quadro Salvatore Bella
Nelle frementi solitudini che innervano i miei giorni, ho visto la terra arida dei campi mutar stagione, lievitare, fermentare, le erbe e i fiori crescere a dismisura, creando floridi ammassi di colore, per poi infiammarsi accendendo di bagliori il cielo, da cui ogni astro fu bandito, ogni stella venne espunta, poiché imparammo a peccare con astuzia – ma non si riuscì a evitare la condanna, le nostre colpe non meritavano compassione.
Quelle contrade in cui mi inoltro, seppure siano avvolte nel silenzio, non hanno pace: sono struggenti, ma non sono amene; i fiori e le erbe non hanno linfa, ma fuoco vivo; la loro aria talvolta si tinge di corrusco, ma su tutto incombe il nero; il fervore dei loro boschi non è un tripudio, ma un’ostile dismisura. Nessuno, sono pronto a credere, vorrebbe abitare in simili luoghi. Sarebbe come vivere in un giardino che il calore dell’inferno infuoca e sfigura.
Eppure, c’è una casa. Un edificio rustico. Un casale. Vi abita qualcuno? Forse è solo un magazzino. Le porte sono chiuse, la finestra è sbarrata. Ma due figure solitarie si avviano per un sentiero. Voltano le spalle alla dimora. Ne escono adesso, o avendo costatato che era chiusa se ne tornano indietro, delusi? Non hanno maggiore consistenza delle larve. La loro sagoma si distingue appena sullo sfondo canceroso dei colori.
È vero: sono colori accesi, ma la desolazione del paesaggio è forse per questo meno dura? Oppure: il fatto che le uniche creature in quel fervoroso mondo vegetale siano due, rende forse la loro solitudine meno amara? Che nessuno si inganni. Non c’è rifugio, né pace, né oblio. Qui c’è un cielo così denso che nessun volatile riuscirà mai a solcare; qui c’è una terra inquieta, che traveste di letizia la sua furia.