Malarazza. Emilio Nigro e la rivoluzione della consapevolezza
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Malarazza” di Emilio Nigro, Qed Edizioni, 2024
Storie di strada, di ingiustizie, di persone che hanno il vizio di perdere e per le quali la vita è solo un pendolo che oscilla tra speranza e disillusione. C’è anche un messaggio positivo, anche se tanto la letteratura in generale, quanto l’autore, non hanno come obiettivo quello di dare insegnamenti ma solo di mostrare: i protagonisti di questi otto racconti sono felici di essere ciò che sono. Nonostante siano scartati e relegati ai margini, loro sono convinti di stare dalla parte giusta della barricata.
Ho conosciuto Emilio Nigro attraverso le sue poesie, erano ricche di un’estasi malinconica; incise sulla carta con un linguaggio che cattura il mondo che muta, il tempo che divora i suoi figli, l’amore che si sopprime davanti all’abbandono. Quando ho letto le storie contenute nel suo “Malarazza” ho avvertito le stesse sensazioni, e, tra queste, quella che più mi è rimasta impressa è stata la forma di vendetta scelta dai protagonisti, ossia rimanere nei propri panni.
La vita trascorre alla stessa maniera sia a Nord che a Sud. Le vicende che forgiano i comportamenti dell’uomo sono le stesse in città e in provincia. I quartieri possono sembrare dovunque dei ghetti o delle gabbie dorate. Insomma, la discriminazione non è figlia dei luoghi, ma è una tara dell’individuo. Lui decide su chi abbattere la scure, lui la plasma secondo le convenzioni del tempo e i costumi del luogo, lui se vuole può anche eliminarla dalla sua scala dei valori.
La consapevolezza e la libertà sono armi a doppio taglio: da una parte ci caratterizzano, dall’altra ci mettono contro il mondo. La solitudine è il prezzo che deve pagare chi ha scelto consapevolmente di restare sé stesso; ciò garantisce di andare via da questa Terra privi di “debiti morali”, ma questo vanto per per la maggior parte è una magra consolazione.
I personaggi di Nigro ci lanciano questi input, ma lo fanno senza presunzione. La malarazza è composta da perdenti che non vogliono essere compatiti, che vivono in maniera impetuosa e al di là delle logiche che sorreggono il gruppo, il ceto e la società. Questi spiriti liberi lasciano ai posteri la loro testimonianza, consapevoli del fatto che forse nessuno prenderà in considerazione il loro esempio.
Tutto è sorretto da uno stile che sa unire prosa e poesia. È così che la delicatezza si unisce alla ruvidezza dell’esistenza, dando ancora più risalto ai significati delle storie. “Malarazza” è quindi un’apologia del perdente, un elogio alla libertà, ma anche un lungo discorso sulla solitudine, abito che bisogna indossare lungo la strada che porta all’illuminazione.