Tempo che non passa, la neve che resta

Tempo che non passa, la neve che resta

Racconto e foto di Alessio Barettini

In un giorno la strada sarebbe stata pulita. Così avevano chiuso la telefonata, quelli del comune. Massimo e Anna osservavano che l’abbondante nevicata non sarebbe finita tanto presto. Quella caduta improvvisa impediva il passaggio delle auto in modo perentorio. Avevano chiamato perché la sera dopo avrebbero dovuto recarsi in paese per certi impegni e non sarebbe bastata una pala. Mancavano pochi giorni a Natale, volevano essere sicuri di potersi muovere.

Massimo si siede sul divano e accende la televisione, i due cani sonnolenti sul tappeto. C’era un documentario su un paese italiano in una di quelle trasmissioni mattutine che mostrano gli angoli nascosti della nostra nazione. Un parco, con delle case di mattoni rosso vivo, che riportava alla mente certi villaggi dei Paesi Bassi o dell’Inghilterra, distanziati tra loro da sentieri pedonali non asfaltati.

Il conduttore camminava facendo notare il fango con il braccio che non reggeva il microfono, perché il giorno prima era piovuto a lungo. Le porte si affacciavano direttamente sulle strade. Non c’erano giardini né recinzioni, solo edifici di un paio di piani al massimo, quindi da ognuna si accedeva a due o tre appartamenti. C’erano due gradini di pietra davanti a ogni ingresso. L’uomo entrava in uno di questi, dove alcune donne stavano mostrando i loro cibi disposti con cura sui tavoli e i loro uomini, disposti con cura sulle sedie vicino alla finestra, come fossero ugualmente oggetti di una stessa esposizione.

Quando la trasmissione finisce Anna sta già cucinando. Massimo si è alzato un momento per andare da lei a darle un bacio. Le dice qualcosa, poi si prende un bicchiere di vino e qualche pezzo di salame già tagliato, quindi torna a sedersi, non senza aver dato ancora uno sguardo fuori dalla finestra, come a ricordarsi che la neve doveva essere sempre lì. Adesso c’era il telegiornale.

Le notizie erano relative alla crisi di governo, a decisioni importanti a livello europeo e a discussioni americane su alcuni protocolli ambientali. Pareva che il segretario di stato fosse in disaccordo con alcune frasi dette dal leader russo. Alcuni politici italiani esprimevano delusione a riguardo. Poi una notizia nuova, imprevista, che lascia Massimo a bocca aperta e fa voltare Anna di scatto: Vasco Rossi è morto.

Il cantante di Zocca è stato trovato nel suo appartamento, la mattina presto. Se n’era andato nel sonno. Costernazione. Cordoglio nel mondo della musica, fiumi di commemorazioni sui social, lutto nazionale. Massimo ricorda che Blasco è stato il suo primo amore, sin dai tempi della scuola. L’ha visto dal vivo cantare Bollicine e Vado al massimo, è stato il suo mito per giorni grigi e interi anni. E adesso non c’era più. Anna lo raggiunge sul divano, silenziosa come la neve che non sembra voler smettere di scendere.

Adesso mangiano, in silenzio, in un’atmosfera isolata e unica, la voce della tv in sottofondo. Al caffè i due si scambiano i ricordi, quante volte lo hanno visto dal vivo, quali album hanno comprato, le canzoni più importanti per loro e perché. Da quando stanno insieme sono andati due volte a un suo concerto. Hanno parlato di lui in svariate occasioni, sostenendolo persino quando per qualche ragione aveva espresso qualche opinione pubblicamente, che poi era stata puntualmente travisata. La giornata prosegue in questo modo, la sera arriva senza che sia cambiato nulla, nello stesso disorientamento. Restano a guardare un film, il primo che trovano, ma quando gli occhi iniziano a chiudersi spengono e vanno a coricarsi.

La mattina dopo ha smesso di nevicare, ma aveva continuato per gran parte della notte, quindi davanti alla casa ce n’è molta, ora. Anna prepara il caffè. È molto presto e fuori tutto quanto è immerso in un’aria che dilata le percezioni. Nessun mezzo è ancora passato, i primi si vedono arrivare solo un paio d’ore più tardi. Erano risaliti pulendo via via la strada che portava lì e si stavano accingendo a entrare nella borgata, dove in quel momento ci sono solo loro due. Vent’anni prima, anche con un metro e mezzo di neve, c’erano almeno trenta persone. Adesso le baite sono abbandonate o mostrano i cartelli di affittasi e vendesi. Se ne poteva comprare una con un prezzo accessibile, in quel periodo di crisi, ma nessuno sembrava interessato a quella zona così vicina ai boschi e lontana da tutto e così rimaneva semiabbandonata in modo permanente.

Massimo è fuori, osserva i mezzi avvicinarsi lungo il viale d’accesso, le spazzole e lo spargisale. Intanto i due cani corrono saltando come caprioli, affondano le corte zampe nella neve, scrollandosela dal garrese di tanto in tanto creando una buffa girandola luminosa. Anna lo chiama un paio di volte per dirgli qualcosa, poi esce. Rimane qualche momento insieme a lui, gli si tiene abbracciata a guardare la strada ormai quasi totalmente pulita e il paesaggio traboccante di luce. Il conducente fa un cenno di saluto prima di andare via, Massimo entra nella Panda 4×4 e accende il motore. Funziona. La lascia girare qualche minuto, poi scende, chiama i cani e li fa entrare. Poi finisce di sistemare tutta la legna che aveva iniziato ad accatastare prima della nevicata, raccoglie alcune scatole e fa alcune verifiche sui tubi dell’acqua, che hanno sempre bisogno di essere controllati per il rischio del gelo, quindi rientra.

La radio in casa trasmette una canzone di Vasco ogni due e le altre sono tutte omaggi di altri cantautori italiani: Ligabue, Eugenio Finardi, Francesco De Gregori, insomma tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno avuto a che fare con lui. Il dj commenta le singole canzoni e parla di Vasco: è una celebrazione costante. Afferma che si aspetta di sapere dove si faranno i funerali. Essendo prevista una folla oceanica si deve pensare alle misure di sicurezza. Abituati a decine di migliaia di persone ai suoi concerti, si ragionava su una cifra totale ancora più alta per questa volta.

“Come sarebbe bello andarci!”
“Si, sarebbe fantastico. Dovremmo pensarci.”
“Ma come facciamo? Con tutte le cose che dobbiamo fare giù, e il lavoro?”

Massimo non risponde subito. Non sarebbero riusciti a organizzarsi in tempo, lo sapeva, ma gli sembra bello potersi illudere di andare, e magari di trovarsi sotto il palco per un ultimo concerto con un milione di persone, tutti con la testa rivolta in alto, e lui su, con gli angeli, a cantare.

I giorni passano. Il funerale ha luogo e tutto scorre come deve. Massimo conferma ad Anna che per Capodanno andranno a quel cenone nell’altra valle, da suo fratello. Non avendo organizzato nulla di più va bene così, anche se entrambi sanno che li muove la tradizione più dello slancio. Comunque sono decisi. La sera del 31 arrivano da lui poco prima delle 8. Fabio è già lì, ma sono arrivati anche tutti gli altri ospiti. Si fa il giro delle presentazioni. Ci sono altri tre ragazzi soli più o meno della stessa età e ci sono delle coppie, che sono vecchi e meno vecchi amici di Fabio, che Massimo conosce sin da quando erano bambini. Una, molto giovane, è formata da una ragazza con due occhi neri molto intensi che colpiscono subito Anna, e il suo fidanzato, che fa il cuoco e si è occupato proprio della cena.

Un’altra è formata da un ragazzo particolarmente alto e con la faccia spigolosa, mentre lei è bionda, dai lineamenti forti e gli occhi chiari, incavati nel viso come se la preesistessero, entrambi apparentemente di buona compagnia. Poi ce n’é un’altra che si è seduta al fondo del tavolo, nella parte lontana rispetto a dove si trovano Massimo e Anna, e Fabio, che per evitare che si sentissero soli ha trovato posto di fianco a loro. Fuori fa freddo, c’è un po’ di neve, ma nulla che eguagli quello che si era visto un paio di settimane prima su al villaggio da loro.

Adesso hanno rotto il ghiaccio. Prima di andare avevano avuto dei ripensamenti. Non volevano rinunciare all’ultimo momento per non mettere in difficoltà Fabio, ma guidando verso il cenone Massimo ha confessato ad Anna che ha poca voglia di mescolarsi a nuove conoscenze. Anna a sua volta si sente sempre un po’ in imbarazzo a mostrarsi a qualcuno per la prima volta. Avevano trascorso il pomeriggio riposando. Il tempo in quei giorni passava molto lentamente, lunghe ore tutte uguali e per di più la loro vita sociale che si è ridotta di molto rispetto ad alcuni anni prima. Nell’ora del tardo pomeriggio, quando la giornata comunica che anche quella sarà come tutte le altre, quando ci si arrende a non fare più nulla di importante, o quando, se si deve uscire, bisogna cominciare a prepararsi, avevano rassegnatamente lasciato i loro costumi domestici senza dirsi a voce alta che avrebbero preferito finire quel giorno a casa come al solito.

Mentre il momento del pre-cena si confonde con il suo inizio, il piatto di carpaccio di pesce in tavola, le prime bottiglie stappate, le prime chiacchiere iniziate, quel sentimento di distanza è scomparso. Adesso sentono quasi felicità di essere venuti. Chiacchierano, un po’ con gli uni un po’ con gli altri, facilitati dalle domande che accompagnano le presentazioni. Il clima generale è piacevole e gioviale, e questa ventata di allegria contagia anche loro. Il cibo poi è ottimo, il pesce fresco e ben cucinato, il vino, artigianale, scende bene. Dopo mezz’ora qualcuno accende la televisione.

Viene deciso di lasciare sul canale del Festivalbar speciale Capodanno dedicato a Vasco Rossi. La presentatrice, nota subito Anna, ha capelli biondi talmente luminosi che prima di salire sul palco devono averle spruzzato ogni genere di prodotto. Il gruppo di ragazzi è molto rapido a osservare che si cambiava d’abito molto spesso, che aveva due gambe molto magre, che non si capiva come non soffrisse il freddo. Ogni artista salendo sul palco avrebbe cantato due canzoni, una sua e una di Vasco. A mezzanotte, ci sarebbe stata una sorpresa. A tavola si parla un po’ di lui. Anche se Massimo e Anna sono i più vecchi, tutti lo conoscono, e ciascuno a modo proprio partecipa dello stesso cordoglio, che due settimane dopo la morte non è ancora cessato. Ne commentano la grandezza attraverso le rispettive preferenze, valutandone l’impatto e il carisma.

Quando salta fuori che certe cose erano riuscite meno bene o che certi comportamenti in passato erano stati troppo estremi, subito tutte le esternazioni successive sono rivolte a rinsaldare il senso della grandezza di tutto il resto, dalle altre canzoni al suo ruolo naturale di icona generazionale, con frasi che iniziavano quasi tutte con “però”, come a voler rimarcare, sottolineare le sue qualità. Vanno avanti così per almeno un’ora, bevendo vino e mangiando la pasta ai frutti di mare.

Poi, in attesa che l’altro sugo, quello per il secondo primo, finisse di cuocere, le conversazioni si fanno più locali, riferite a loro stessi o ad amicizie in comune. Massimo e Anna condividono quel che possono, ma man mano che la serata prosegue rimangono sempre più in disparte. Massimo può ancora conversare un po’ con il gruppo degli amici di Fabio, mentre Anna si concentra progressivamente solo sul Festivalbar. Ciò che nota la rende malinconica. Non solo non conosce i tre quarti dei cantanti. Questo potrebbe anche essere accettabile. No. È che la maggior parte sono ragazzi tra i 15 e i 20 anni, figli dei talent-show, degli X-Factor che da anni infestano il mondo musicale europeo. Lei non li ha mai sopportati. Non capisce perché dover dare credito a centinaia di ragazzetti che pensano di essere grandi geni solo perché si esibiscono lì, che si sentono arrivati senza aver fatto alcunché. Anche questi le confermano la stessa impressione.

La maggior parte di loro sono semplici copie di tutti i simboli della tradizione italiana passata, pensa Anna. Voci comuni, canzoni senza altro arrangiamento se non una base di sintetizzatori registrata elettronicamente. Il pubblico, anch’esso per gran parte molto giovane, non è dello stesso avviso. Ma anche quando la telecamera inquadra le loro facce, Anna resta scettica. Sembrano tutti un mucchio di cloni. Facce tutte uguali, con il telefonino in mano a filmare l’esibizione di questo o quest’altro performer. Un’altra cosa che la disturba è che sul palco c’erano ballerini, mangiafuoco, pattinatori. Girandosi verso Massimo, gli dice “Guarda, mancano solo i pagliacci”.

In effetti sembrava più una fiera di paese, il Festivalbar quella sera. Un programma storico dove in passato si erano esibiti artisti bravi e capaci, ora ridotto a ospitare giovani che sembravano destinati a sparire dopo pochi anni di carriera, ad alto rischio di burn-out, come le ragazze di Non è la Rai, le viene in mente. Ne ascolta alcuni, ma non riesce ad apprezzarne nemmeno uno, anche se tutti si atteggiano a star. Non ci vuole un esperto per accorgersi che l’industria stava riproducendo quei modelli che erano nati spontaneamente negli anni ’50 e ’60, con la nascita e lo sviluppo del rock’n’roll. Con la differenza che ora questi vengono costruiti su misura, uno dopo l’altro, in serie, con le stesse intenzioni, senz’altra preoccupazione se non quella di creare miti vissuti prima ancora di essere nati.

Anna torna alla realtà della serata un po’ più triste. È persino irritata perché molte delle cover che ha sentito non sono tributi, sono dei sample senz’anima, con il risultato che Vasco, questa sera, è stato solo riprodotto, come serializzato in un’opera di Warhol. È tutto molto freddo, e, pensa Anna, persino offensivo nei confronti della sua memoria.

Si gira verso Massimo, che sta parlando con gli amici di suo fratello, con cui sta condividendo qualche antico ricordo di conoscenze comuni. Anna gli fa notare l’età media e le sue impressioni. Massimo si dice d’accordo, ma intorno alle 23 cominciano a salire sul palco figure più attempate, più vicine a loro, più brave. Fiorella Mannoia, il sempiterno Ron, e addirittura Enrico Ruggeri, che a Massimo piaceva non poco. Poi Umberto Tozzi, insomma diversi personaggi famosi che si avvicendavano per dare il proprio contributo alla festa. La cena continua. Si fa mezzanotte. Countdown, brindisi, auguri.

La sorpresa consiste in un grande pot-pourri di tutti quelli che si sono esibiti, tutti insieme a cantare Alba Chiara a cappella. Anna è presa da una grande stanchezza, mentre Massimo continua la sua conversazione, ogni tanto girandosi verso di lei sorridendo. Non riesce a concentrarsi su nulla, anzi, la televisione rimane il suo rifugio mentale. E quando qualcuno fa una carrellata sugli altri canali, si intravede qualche scena di Velluto Blu. In quel momento pensa che preferirebbe essere da sola a guardare quel film. Invece la serata deve ancora finire.

Poi qualcuno lascia la tv sulla Rai, dove c’è una festa analoga al Festivalbar, un altro varietà musicale, pieno di vecchie cariatidi come Al Bano e Romina Power, e altri di cui fatica a riconoscere il nome ma che ha visto centinaia di volte nel corso degli anni. Il formato della trasmissione è uguale. Monocorde. Anna è completamente dentro la sua malinconia. Pensa a Vasco, al suo Vasco che non c’è più. Intorno alle 2 finiscono i programmi. Ora sullo schermo c’è un video di Madonna piuttosto avveniristico, la cantante che canta da una gabbia, mentre ballerini sexy si muovono legati a delle corde che li sospendono in aria e li spostano creando una suggestione di volo. Ma qualcuno cambia ancora canale, il tempo fa un’altra giravolta proprio mentre Anna pensava che Madonna le piaceva da sempre.

Dopo mezz’ora stanno tornando a casa. Gli altri continuano la serata, come è giusto che sia, sono più giovani e stimolati. In macchina non si dicono quasi nulla, e forse Anna si addormenta mentre Massimo guida. Resta dentro alcune immagini, di suo papà, che non c’è più, di Bruce Springsteen, che ama, e di un paesaggio campagnolo vicino alla sua casa, di quando era bambina e viveva altrove.

Si sveglia quando mancano soltanto pochi chilometri, che però le sembrano ancora molti. Le distanze a volte si allungano. Anche i tempi si fanno impossibili, pretenziosi, informi. Ma il tempo sarebbe comunque passato, giorno dopo giorno, e avrebbe chiesto altri tributi, avrebbe regalato altri oblii, avrebbe ipotizzato altre risposte e altri modi di scoprirle. Il tempo sarebbe passato. O non sarebbe passato affatto, mostrando agli stessi occhi stanchi e immobili l’illusione di muoversi, ripetendo sempre la stessa interruzione, la stessa inutile speranza di eterno.

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