La libertà venne a chiamarti…
Racconto e foto di Martino Ciano
All’improvviso, la libertà venne a chiamarti. Hai sentito la sua voce. Fu come il tuono che annuncia il temporale, ma non hai avuto paura di andare incontro a quel ruggito. Ti sei messo in cammino e ti sei interrogato su quali sembianze potesse avere, se fosse maschio o femmina, se fosse facoltosa e ben acconciata o se fosse vestita di stracci come un mendicante.
L’hai immaginata come una persona diversa da te; come un parente che torna a casa, come un fratello o una sorella di cui non conoscevi l’esistenza. Ti sei fidato, perché quella voce risuonava in te nei momenti in cui ti sentivi soffocare da un’oppressione malevola, un’ombra capace di eclissare tanto una fiammella quanto un bagliore immenso.
Allora ti sei messo a correre; a inseguire l’eco del suo richiamo. Sei inciampato, ti sei rialzato; hai zoppicato, non hai controllato se a ogni caduta ti fossi procurato delle ferite. Dopotutto, il sangue si coagula, i tagli si rimarginano e le cicatrici sono segni pittoreschi. Hai seguito la voce della libertà, imperterrito e infischiandotene degli ostacoli e delle tortuosità.
Ti è sembrata vicina; ti è sembrato che tu fossi a un passo da lei. Sei giunto dove la strada era finita; davanti a te c’era la scogliera e dopo di essa il mare piatto e placido, smosso solo da brevi e indistinguibili onde.
Dov’era la libertà? Forse tra i tuoi organi, tra i tuoi occhi, nel tuo naso, nella saliva della bocca?
Dov’era la libertà? Magari nelle dita, nelle vene, nel cuore, nella mente, sotto i piedi, nel tuo inguine?
Non era lì fuori?
Non era tra la gente, tra le cose del mondo, tra il dolore e la gioia, tra ogni scelta sbagliata, azzeccata, perversa, insensata, meditata, improvvisa, con cui hai cercato di partecipare alla costruzione della realtà?
Che sia la morte, la libertà?
Che sia tornare bambini, la libertà?
Che sia Dio, la libertà?
Che sia la tua distruzione, la libertà?
Che sia autentica solo quando non ci si domanda nulla sulla sua natura?
Hai percorso la via del ritorno con il cuore aggrovigliato tra i rovi. La paura di essere stato ingannato, la rabbia per esserti fidato, la consapevolezza che è un miraggio la libertà fin quando si teme la solitudine. Eri tornato al punto di partenza, dove l’inganno era iniziato, dove avevi sentito per la prima volta la sua voce; era anche quello il punto di non ritorno. Hai brindato al silenzio con te stesso, all’unica libertà che ti eri concesso: credere.
E forse è solo questa la libertà: credere che esista.