Lexycon: il nuovo e intrigante album degli XYQuartet

Lexycon: il nuovo e intrigante album degli XYQuartet

Recensione di Leonardo Ragozzino. In copertina una foto degli XYQuartet, autori di “Lexycon”, Nusica, 2025

I don’t know where jazz is going. Maybe it’s going to hell. You can’t make anything go anywhere. It just happens.
Thelonious Monk

Nell’ascolto di “Lexycon”, l’ultimo lavoro dell’XYQuartet, si è pervasi subito da una speciale aura di autorevolezza e forza intrinseca dell’impianto musicale che impregna tutta l’opera e la rende riferimento identificativo delle produzioni “aperte” dell’intraprendente etichetta Nusica. Fuori dalle classificazioni, dagli steccati dei generi musicali e stilemi compositivi omologanti. Si avverte distintamente la sedimentazione compositiva dei 14 anni di attività di questo laboratorio jazzistico eterodosso, che ha consentito la maturazione di una particolare cifra stilistica andatasi via via ridefinendo e modellando, giungendo a questo felice esito di grande equilibrio compositivo e performativo.

Ogni brano di “Lexycon” è parte di una narrazione mobile, cangiante, dove tutto è frutto di un processo dinamico che non si cristallizza, ma si apre a nuove soluzioni disseminate di suggestioni d’avanguardia. Nicola Fazzini al Sax Alto, Alessandro Fedrigo al Basso elettrico, Saverio Tasca al vibrafono e Luca Colussi alla batteria ci conducono in un viaggio di 49 minuti suddiviso in undici tappe/pezzi, in cui già i titoli indicano l’attitudine alla sperimentazione, non solo musicale ma linguistica in senso lato, perché è della vitalità e trasformatività del linguaggio che parla anche questo disco. Ovvero di come ogni lingua individuale si modifichi in modo spontaneo, sottoposta a incontri, scontri, cambiamenti.

Tutto ciò si è concretizzato nell’invenzione di una neolingua con cui facciamo conoscenza sin dal primo esplosivo pezzo, “Elgotar Bengotar” (che rappresenta una forma benaugurale di saluto e risposta), che è stato anche il track di lancio che ha anticipato l’uscita dell’album in cui troviamo tante caratteristiche di tutta l’opera, ovvero il fraseggio serrato tra gli strumenti, una perizia tecnica scintillante che non scade mai in sterile virtuosismo, la presenza garbata e di estremo fascino del vibrafono, che ricorda la creatività e l’equilibrio del grande ECM Gary Burton. Interessante seguire le evoluzioni di questo brano in cui si rinvengono due sezioni caratterizzate da sperimentazioni su serie di intervalli ed esatoni.

I giochi creativi sottendono il susseguirsi di tutte le tracce tra cui mi piace ricordare “Improverso”, che ha una cadenza quasi rituale e ipnotica, una sorta di round dance di matrice afro. E “Ooni Aanden”, con l’utilizzo di vocalizzi e espressioni in neo lingua che ricordano le prime sperimentazioni sulla voce del grande minimalista americano Steve Reich.

Altro elemento coinvolgente è l’aderenza di questa produzione alla mission di ricerca dell’etichetta, alla sua matrice osmotica che intende promuovere non solo gruppi musicali ma dare le ali a un progetto culturale più ambizioso, fatto di curiosità, contaminazioni anche in ottica formativa ed educante. Andando nella pagina web del disco, ho trovato con piacere la possibilità di scaricarsi liberamente i file PDF delle partiture di alcuni brani, proprio a riconferma dell’interesse a far emergere nella musica contemporanea la sua natura antropologica di apertura comunicativa e scambio rispetto a quella elitaria. Di questi tempi ossigeno puro.

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