Lella
Racconto e foto di Adalgisa Giannella
Come si alzava lei sulle punte dei piedi, nessuna.
Era nata così, pronta per volare a ogni evenienza.
Pronta per partire nel modo più strano dopo che la madre aveva sposato Franco lo storto, brutto e maligno che se lo guardava ci venivano i brividi tanto la spaventava.
Non lo capiva quell’amore disgraziato, perché Annina era bella e, al paese, lei era Brigitte, come la Bardot, e tanti l’avevano corteggiata e chiesta in sposa, ma aveva rifiutato tutti e poi aveva scelto u zuopp, Franco u zuopp, che di bello aveva solo lo spider verde oliva con la cappotta grigio nube, quattro spiccioli in banca e la pensione d’invalidità.
Con Concettina, l’amica sua, si era confidata.
Che la notte lui c’entrava nella camera e la fissava per ore, che erano mesi che non dormiva e che aveva la forchetta sotto il cuscino, che poi dormiva a scuola e si pigliava brutti voti, che faceva salti dappertutto, persino sugli scogli lavici delle Rupi Rosse per allenarsi a scappare di notte, senza scarpe.
Ci pareva strano che Annina-Brigitte non si accorgesse di come rifiutasse il cibo, dei capelli intorcinati, delle scapole che sembravano ali tanto erano evidenti per la magrezza.
Annina-Brigitte aveva occhi solo per il diavolo, come ci avesse fatto una maledizione e si immalinconiva Lella, perché oltre al padre si era persa pure la madre e mo’ chi la salvava a lei, tredicenne con solo due piedi, pelle e ossa e dentro le ossa pure tanta paura?
Chi la salvava?
Se lo sentiva che lo zoppo di notte la spiava e non ci voleva stare più così, aspettando che ci saltasse nel letto com’era successo a Pinuccio, con lo zio che poi se n’era entrato in convento.
Alla fine, in paese lo strano era stato lui e non lo zio che l’aveva ghermito.
Un giorno si accorse che sulle mutande bianche ci stavano due macchioline di sangue.
Sapeva di esser diventata grande ed ebbe anche più paura.
Chiamò Annina, che si spazzolava i capelli e ce lo disse improvvisamente.
Le disse pure che quello là di notte stava in camera sua fisso, a guardarla, e che voleva la chiave sulla porta.
Annina-Brigitte si fece come una pazza poi scoppiò a ridere. “Non ti preoccupare che all’uomo mio non ci piacciono le ossa! Toh, mettiti un assorbente e pensa allo studio che l’asina in casa non ce la voglio.”
S’era persa la madre e per non disprezzarla ricordò quando le attaccava palloncini sopra il letto, perché l’avrebbero protetta come angioletti azzurri e divertenti, che non si sarebbero mai lasciate, che ci avrebbe pensato lei a quella figlia orfana di padre, che a sfortuna poi se ne va… nun ce po’ sta per sempre.
Quella notte la luna sorrideva immersa in una coperta di stelle.
Il vento le carezzò il viso con amore e non se la sentì di chiuderlo fuori.
Lasciò la finestra aperta e s’infilò sotto le lenzuola.
Quando il fiato maligno le arrivò sul collo, estrasse la forchetta da sotto il cuscino e gliela infilò nella giugulare, allo storto.
Aspettò che il sangue le arrivasse fino ai piedi, poi sollevò le punte e corse verso la finestra aperta, saltò sul davanzale e si gettò tra le braccia del padre.
Finita.
Era libera finalmente.