Ai miei…
Articolo e foto di Martino Ciano
Ai miei defunti ho tappato la bocca; preferisco che non parlino, che non si facciano più sentire. Non voglio che si preoccupino di me e prometto che non li disturberò più con qualche richiesta di consiglio.
È un loro diritto essere lasciati nella pace, nella luce, forse anche nel nulla, visto che di rappresentazioni sull’Oltre ne abbiamo costruite tante, troppe, e nessuno di quelli che è andato di là ci ha mandato qualche testimonianza.
Tuttavia, neanche mi importa sapere quali porte si spalancheranno nel giorno del mio trapasso, quali giardini attraverserò, se sarò tra le fiamme o tra i campi dei beati; d’altronde, nessuno ci ha garantito che ci sia qualcosa; ci hanno solo detto che bisogna aver fede. Che soddisfazione!
Ma la fede, dopotutto, è un bel regalo che l’uomo si fa da sempre; anzi, certi dicono che sia un dono, di chi però non si sa con esattezza, anche perché queste entità donatrici e astratte ognuno se le immagina come vuole; spesso ne avvertiamo la presenza come quando siamo smossi dagli stimoli corporali. Che degrado!
Diciamo anche che queste entità astratte, questi Dei che imperano sui vivi e sui morti e su cui l’umanità si scervella, cambiano i loro usi e costumi a seconda delle epoche. Addirittura, tali entità non sono così convinte di quello che fecero mettere per iscritto su tavolette o su rotoli e rotoli di carta; il più delle volte si sono persino contraddette. Alla faccia dell’onnipotenza!
Ai miei defunti, quindi, dico anche quest’anno “di stare dove stanno e di non tornare più”. L’unica resurrezione che auguro a loro è quella su un altro pianeta distante miliardi di anni luce da quello che hanno abitato per un certo lasso di tempo.
Noi vivi ce la caveremo, in un modo o nell’altro.