L’indignata e i “complessi” della rivolta

L’indignata e i “complessi” della rivolta

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “L’indignata” di Giuliana Zeppegno, TerraRossa Edizioni, 2024

Un romanzo corale di denuncia, ma in cui ogni individuo apporta la sua identità. “L’indignata” è un racconto che si muove sul confine del “possibile” e dell’utopico, non dimenticando anche di evidenziare quella disillusione che sgorga quando la rivoluzione resta solo un concetto.

Giuliana Zeppegno ci porta nella Spagna degli anni 2011-2014, tra proteste di piazza e movimenti di rivolta che, ancora una volta, avrebbero voluto cambiare il mondo. Madrid è la città del “volere è potere”, del “sogno” di una società giusta, equilibrata e priva di equilibristi. Nel mezzo ci sta anche l’istinto di distruzione, alimentato dalla negazione laica di ogni istituzione.

Qui si intrecciano i destini di quattro persone: Giulia, Andrés, David e Teresa. Quest’ultima sparirà nel nulla e “istigherà” la conseguente ricerca da parte dei suoi amici, che scopriranno qualcosa che va al di là della “Tere” attivista dura e pura.

Grazie a questo mix, “L’indignata” diventa un romanzo a più voci, che sviluppa al suo interno più temi e che è sostenuto da una scrittura solida, tesa a delineare i caratteri dei personaggi, nonché la loro idea sulla rivolta e sulla lotta politica. Il desiderio di un cambiamento radicale si scontra con i bisogni indotti dalla società; per quanto ciascuno lotti per il “noi”, non può fare a meno di sporcarsi le mani con il proprio “io”.

La ricerca di Teresa apre nei protagonisti della vicenda domande legittime sulla sua appartenenza. Detto in soldoni: c’è differenza tra “predicare la rivolta” e “renderla concreta”; diventa quasi superfluo ripetere che l’utopia è bella fin quando le esigenze non mutano.

Giulia, Andrés, David e Teresa si scontrano con la realtà, raggiungono quella soglia anagrafica che impone scelte e decisioni. Non riescono più a restare indifferenti ai richiami di quel sistema che essi stessi combattono. Ogni manifestazione di piazza diventa un momento cruciale in cui ognuno sviluppa nuovi dubbi. Il fuoco della protesta si spegne sempre un po’ di più: che sia questa la vera indignazione?

Teresa sparisce. I suoi amici pensano o a un gesto estremo o a un omicidio. Qualcosa è successo, ma non è questo il punto intorno al quale ruota il romanzo, sebbene sia la “molla della narrazione”; l’intento della narratrice è mostrare quell’indignazione che proviamo verso noi stessi nel momento in cui ci tradiamo e, automaticamente, ci assolviamo.

Zeppegno è stata molto attenta nel nascondere tutto ciò nella trama, giocando con l’illusione e la disillusione, cercando in ciascun personaggio quel pragmatismo che addormenta “l’utopia” in favore della realtà. Ciò rende queste pagine ricche di significati, tanto da spingerci a profonde riflessioni sul prezzo che bisogna pagare in nome di una “libertà consapevole”.

Allo stesso modo, nessuno rinnega fino in fondo gli ideali, semplicemente li accorda ai propri desideri, salvando il salvabile, accomodandoli. Forse questo aumenta ancora di più l’indignazione che essi provano per loro stessi durante alcuni solitari esami di coscienza?

Forse sì, ma non possiamo dirlo ad altra voce; d’altronde, questo è un romanzo dedicato al “noi”.


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