Indagini su Hegel. Benedetto Croce e le perplessità di Sanseverino
Recensione di Martino Ciano. In copertina “Indagini su Hegel” di Benedetto Croce, curatore Michele Ciliberto, Adelphi, 2024
“Indagini su Hegel” nasce così: in una notte in cui il sonno latitava, Benedetto Croce buttò giù l’idea di questa novella nella quale immagina un giovane napoletano, di nome Francesco Sanseverino, che, nel 1831, si reca da Hegel, il ciarlatano dagli oscuri discorsi, per attestare al filosofo tanto la sua stima quanto alcune remore sulla sua “dottrina”.
“Indagini su Hegel” è semplicemente questo? No, come ci viene detto nella prefazione scritta da Michele Ciliberto, il testo rappresenta un lascito importante, sia perché è la prima volta che Croce scrive un racconto il cui protagonista è un suo “doppio”, sia perché l’intellettuale italiano fa trasparire qualcosa di intimo.
Insomma, nel settembre del 1948, circa quattro anni prima che morisse, il Benedetto nazionale si confrontò con il suo amore più grande: Hegel, filosofo, forse teologo, forse idolo fin troppo amato e odiato, che, anche quando denigrato, è stato posto come uno dei pensatori più influenti dell’epoca moderna; in fondo, non si può negare che ognuno abbia tratto da lui qualcosa di positivo e di negativo.
Per Croce, il merito di Hegel è stato quello di risolvere nella Dialettica quell’opposizione inconciliabile tra enti e concetti. Bene e male, amore e odio, bello e brutto, non sono l’uno davanti all’altro, ma uno nell’altro. La Dialettica, arma bianca del Vitalismo, categoria intesa come movimento costante che pone tutto in balia delle passioni, del peccato, del sentire di ciascuno, mette in moto anche il “male necessario”, qualcosa che quindi non è tale, che non è schiavo dei nostri giudizi, che si sottrae alla ragione, perché segue il percorso del “Divenire”.
Il “Divenire” stesso è per Hegel l’Essere. La fuga del male al controllo del bene, il bene che prevale sul male, è l’incedere della Storia. Infatti, per il filosofo di Stoccarda la Storia è la somma delle contraddizioni risolte. Dal canto suo, Croce non affida la Dialettica alla Logica, anzi la toglie dalle sue grinfie, e questo è proprio un punto di rottura con il suo maestro che, nel racconto, compare con forza.
Eppure, secondo questo ragionamento quasi logico, Hegel arrivò alla sua abusata formula “ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale”. Il principio di fondo è la storia come continuum, nulla può essere tolto da essa, perché scompiglierebbe l’intera trama, fin dall’inizio.
Croce ha i suoi dubbi, ma resta fedele al pensatore tedesco; mai deride il suo mentore, mai vedremo in questo libro un gesto demolitore. Se volete le polemiche, vi consiglio “Il crepuscolo dei filosofi” di Giovanni Papini che, con ironia, seppellisce Hegel e tutte le sue opere, considerate figlie di uno sforzo mentale che è solo pura astrazione. Oggi la chiameremmo “masturbazione”.
Dal canto suo, Croce riconosce il male dell’eccessiva astrazione, vede in tutto questo uno dei limiti, proprio perché, secondo lui, Hegel era partito dalla concretezza. Sia ben chiaro, parliamo di un libricino di 119 pagine, che arricchisce ma non risolve certi passaggi “incomprensibili” dell’uomo di Stoccarda.
D’altronde, l’affascinante sistema del filosofo tedesco sarebbe stato più godibile proprio se lo stesso “ideatore fosse stato più chiaro nell’esposizione”. Non diciamo una bestemmia affermando che Hegel non era questo “maestro di chiarezza”, e, mi suggerisce qualcuno, anche di grammatica. Ma ciò c’entra poco con la novella di Croce, capace invece di affascinare chi, come me, guarda al pensiero come patrimonio aperto a cui ognuno contribuisce.
E proprio questa mia ultima affermazione l’ho trovata anche in questo libro. Infatti, Croce spiega che tutte le opere, pure quelle contenenti pessimi pensieri, sono utili in quanto in loro traspare ciò che verrà, quel prevalere del bene, della libertà, di un reale che è razionale e viceversa.
D’accordo, Benedetto è un ottimista, forse troppo, ma ancora oggi è pur sempre degnissimo di attenzione.