Incompletezza: il Gödel di Deborah Gambetta

Recensione di Alessio Barettini. In copertina: “Incompletezza” di Deborah Gambetta, Ponte alle Grazie, 2024
Ho iniziato la lettura di Incompletezza: una storia di Kurt Gödel di Deborah Gambetta (Ponte alle Grazie) con molto scetticismo. La mia formazione umanistica, o meglio la quasi totale assenza di una formazione scientifica mi ha subito messo in allarme. Come avrei potuto capire Kurt Gödel, così come si propone di fare l’autrice, io, che quando uscì Gödel, Escher e Bach, quasi un classico ai tempi, lo rifuggivo seppure stranamente attratto dall’idea di un matematico paragonato a uno dei disegnatori più arguti di tutti i tempi che ammiravo incommensurabilmente per il suo gusto per il paradosso.
L’inizio della lettura sottolinea però che la formazione dell’autrice non è dissimile dalla mia, e questo ha contribuito a darmi coraggio, seppure è certo che per scrivere di Gödel bisogna aver studiato Gödel, averlo capito, averlo in qualche modo fatto proprio. Si intuisce dunque quanto questa strada debba essere stata una sfida per Gambetta, dato il carattere auto-finzionale della narrazione, che l’autrice segue creando continui paralleli fra la sua vita e quella del matematico austriaco e allo stesso tempo mostrando progressivamente la crescita della scrittura e la forma auspicata.
È del resto interessante chi unisce i campi, chi sottolinea che fra mondo umanistico e mondo scientifico non ci sia una distanza incolmabile. Più nel dettaglio, qui si presenta forte l’idea che la letteratura assomigli alla dimostrazione matematica, che dimostrare un teorema è raccontare qualcosa, portarlo dal piano dell’astrazione a un piano reale, che appunto è quello che fa la letteratura, dando vita alle storie.
Così uno dei pregi di questo libro è che la lettura è proseguita leggera anche nelle parti più ostiche, quelle appunto in cui l’autrice riporta, prima a parole, poi con le famigerate formule, i passi che hanno permesso a Gödel di diventare una delle menti più brillanti del mondo della matematica e della fisica del Novecento, dimostrando, appunto, che l’intuizione di quelle parole che stanno dietro a quelle formule può tradursi in linguaggio logico decifrabile.
Un secondo aspetto centrale di Incompletezza è quello dell’ossessione. Questa parola è un leitmotiv della vita di Gödel, ma lo è anche del desiderio via via più necessario di capirlo. Cosa può far diventare una passione un’ossessione? Forse la consapevolezza che nella vita di chi si è dedicato così tanto ossessivamente alle proprie dimostrazioni logico-matematiche c’è anche qualcosa di noi tutti, che in un modo o nell’altro riversiamo ossessività, se non vera e propria ossessione, nelle nostre relazioni, nei nostri comportamenti, nelle nostre idee, spesso inconsapevolmente in modo più o meno maniacale.
E in effetti leggere Incompletezza significa addentrarsi tanto nella vita del matematico austriaco quanto in quella dell’autrice, specialmente negli ultimi dieci anni della sua vita. Il parallelismo è prima percepito, poi assaporato, più in là cercato, infine confermato passo passo, come se l’autrice abbia pagina dopo pagina realizzato che la stesura del libro la accompagnasse lentamente a prendere le distanze da qualche aspetto ossessivo di sé stessa: il dato biografico dell’una si ritrova nel modus operandi dell’altro, e viceversa, Gambetta sembra voler diventare Gödel, sempre più si riconosce in lui, trovando una forma di catarsi nella sua vita.
Il confine fra ossessione e follia, poi, è indagato con dovizia. Perché Gödel non era una figura facile, e attraverso una meticolosa ricerca (la lettura delle sue opere, quella delle sue lettere, ma anche la ricerca di biglietti, fotografie, testimonianze), ci si arriva molto vicini, pericolosamente vicini, a guardare dalla mente di Gödel, un uomo forse affetto dalla sindrome di Asperger, dunque incapace di leggere il mondo al di fuori dei propri schemi, soprattutto sul piano emotivo, ovvero su quello degli affetti, prima di tutto.
A questo proposito la vita del matematico non è disgiungibile da quella della compagna e moglie Adele, presentata con precisione, con empatia, Adele così necessaria nella sua vita, così come per quelle degli amici, Von Neumann e Einstein su tutti, con i quali Gödel intrattiene rapporti duraturi seppure viziati da manie, stramberie, comportamenti apparentemente indecifrabili, che in talune occasioni sfociano in vere e proprie fissazioni, se non in manifestazioni psicotiche vere e proprie, limitanti, certo, specchio di un’ossessione per il mondo dei numeri e dell’esigenza di spiegare ogni cosa attraverso la logica, atteggiamenti che lo portano più volte a rischiare la propria salute, mentale prima di tutto, ma anche fisica.
C’è una sorta di purezza in lui, qualcosa di inscalfibile. Ma anche qualcosa di incredibilmente tenace. Di questa donna Kurt, per tutti i dieci anni di fidanzamento, fino al matrimonio avvenuto nel 1938, non farà parola con nessuno. Così come tiene per sé il suo platonismo, allo stesso modo non dirà nulla di questa relazione. Si frequenteranno, e di lei nessuno saprà mai niente. Non i colleghi, ma neanche i genitori. (p.98)
Incompletezza però non è una biografia in senso classico. Gambetta ci porta nella sua mente, prima ancora che in quella di Gödel, ci mostra la sua fascinazione per il logico e il modo di condurre le sue ricerche, costruisce il suo libro passo dopo passo insieme ai lettori, mostrando il perché di certe scelte, di certe intuizioni letterarie, dichiarando di voler rifuggire la classica idea di biografia ma dimostrando di non poterlo fare del tutto con il trascorrere delle pagine. Tutto questo prende vita nel tentativo di capire Gödel, di capire quale fosse la sua vera identità, di portare l’astrazione, tutta quell’astrazione così maniacale che ha attraversato la sua vita su un piano concreto, quasi come se infine l’autrice volesse restituire qualcosa a quell’uomo, e forse a sé stessa.
Questo scritto, a un certo punto, ha preso una strana piega. La mia idea di non voler scrivere una biografia ormai si scontra con l’evidenza ogni volta che apro il file word: cosa sono queste parole messe in fila se non una biografia? Racconto dei fatti su qualcuno, il collego, è questo che fa una biografia. Poi le biografie possono essere più o meno sbilenche o seguire un andamento canonico e lineare, ma se parlo della vita di qualcuno, dei fatti della vita di qualcuno, quella è una biografia. (p.283)
Concretezza e astrazione, parallelismi, costrutti, teoremi e fatiche improbe di arrivare a soluzioni apparentemente irraggiungibili. Un libro dove il senso della ricerca è ancora più in evidenza del dato biografico puro, che sia quello del protagonista o quello della stessa autrice, appunto così vicini fra loro in questa chiave di lettura della realtà, così pregna del procedimento intuitivo puro e delle conseguenti difficoltà di tradurre in parole il linguaggio della matematica (e quello dei deserti emotivi). Un territorio sconnesso, su cui Gambetta si muove con circospezione, abbarbicata al braccio di Gödel per non cadere, in uno stato di osmosi alchimistica delle reciproche fissazioni che in lei sembra aver lavorato come aiuto duraturo in un movimento di autoliberazione che è però proprio quello che è sempre mancato a lui.
Di nuovo ritrovo in lui una spaccatura. Chi fa o ha fatto matematica come l’ha fatta Kurt, chi ha riflettuto profondamente sulla matematica, innalzandosi a vette di astrattezza così vertiginose che solo pochi riescono a vederle, ha sicuramente qualcosa che i più non hanno. È quello il mondo in cui si muove a proprio agio. E si muove a proprio agio perché lo capisce, lo capisce davvero. E se lo capisce davvero è perché, appunto lo vede. C’è immerso dentro come si può essere immersi dentro una realtà virtuale. Una persona così, per come la vedo io, non ha bisogno di dimostrare niente. (p.374)