Il violinista Igor Brodskij: storia di un’estasi tragicomica

Il violinista Igor Brodskij: storia di un’estasi tragicomica

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Il violinista Igor Brodskij” di Romano Augusto Fiocchi, Qed Edizioni, 2025

Mi piacciono quei romanzi in cui si mischiano i concetti, si creano similitudini tra generi, si amalgamano realtà e favola, si dà voce alla fantasia e si smascherano le ipocrisie del mondo. Ecco, “Il violinista Igor Brodskij” è tutto questo e nella sua brevità è capace di andare oltre le etichette.

Un violinista russo incanta tutti suonando per le strade, tra le macerie, nelle bettole. Imbraccia il suo strumento invisibile, forse di vetro, e lascia che le note parlino al suo posto. Chi lo ha ascoltato, dice che il suono che produce ha un’essenza divina. Ne fa esperienza anche un agente discografico che però lo perde velocemente di vista. Per ritrovarlo fa di tutto, come ingaggiare un investigatore privato che, simile a un segugio, lo cercherà in capo al mondo.

Questa la storia che tiene insieme un romanzo ironico che pone in primo piano quel connubio malato tra arte e business. È un gioco fantasioso quello che Romano Augusto Fiocchi imbastisce, tant’è che dietro la trama c’è una vera e propria denuncia verso quella “fabbrica culturale” che quasi mai favorisce la sensibilità, a patto che non diventi materia su cui speculare.

Il violinista Igor Brodskij invece si comporta come lo scrivano Bartleby, quello che diceva sempre “no” a qualsiasi richiesta o confronto. Ogni volta che qualcuno prova a rivolgergli la parola, qualsiasi sia la sua lingua, Brodskij taglia corto e risponde con un “non capisco, non parlo la tua lingua”. Lui sa esprimersi solo con la musica, eppure è capace lo stesso di farsi comprendere.

E seguendo questa partita con il destino, lui che viene dalle terre dell’est, che sono tanto ampie da apparire senza orizzonti, incarna quel vento di malinconia che tutti gli uomini sentono sospirare in loro. Il suo violino sa parlare a ciascuno e sa unire senza distinzioni. Nessuno resta indifferente al cospetto delle sue note.

Come un Messia, il violinista Igor Brodskij non va per teatri, ma tra vicoli, quartieri degradati, piazze di periferia ed esseri umani alla deriva. Dove passa lascia il suo profumo. L’investigatore infatti annusa la sua presenza, quell’odore unico che solo Igor emana.

Ma il violinista non è un angelo caduto dal cielo, ma un essere umano che si è formato in un posto che occlude l’anima, la voglia di vivere, la speranza. La sua salvezza è stata la musica, che gli ha dato forza e capacità di discernimento. La sua sofferenza si è fatta dolce melodia. Lui la dona al mondo non con foga dionisiaca ma con ammaliante eros, oltrepassando la carne, sedendosi nel mezzo di quel luogo comune agli uomini: l’anima.

Eppure, il violinista Igor Brodskij non è un uomo di pace, né un evangelizzatore né un profeta, tantomeno un essere divino. Egli è un uomo sfuggente, un eretico che non si ferma davanti alle cose del mondo, un solitario che appare e sparisce. Lui è “un atto“, perché è importante ciò che crea e non ciò che “pensa di poter creare“. Potremmo identificarlo come un uomo di buona volontà, invece non possiamo dire neanche questo di lui perché tale definizione lo chiuderebbe in una “gabbia etica”.

Fiocchi ci regala una favola ironica, in cui non mancano l’umorismo e la tragedia. Lo stile sa riunire il meglio di quel postmodernismo che azzarda “decontestualizzando”. Il lettore si prepari quindi a un viaggio pieno di colpi di scena e di “doppi sensi” arguti, ma soprattutto si abbandoni a questa prosa creativa che stuzzica la voglia di evadere.

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