La Calabria e il sogno poetico di Giuseppe Gervasi

La Calabria e il sogno poetico di Giuseppe Gervasi

“La Calabria e il sogno poetico di Giuseppe Gervasi” è una recensione di Filomena Gagliardi. In copertina: “Ho sognato la mia terra” di Giuseppe Gervasi, Vintura Edizioni, 2024

Una recensione su BorderLiber di Martino Ciano del libro “Ho sognato la mia terra” di Giuseppe Gervasi mi ha molto incuriosita. Analogamente avevo voglia di spulciare qualcosa dell’editore Vintura. Allora ho ordinato il libretto direttamente dalla casa editrice e ho trovato dall’altra parte Vincenzo Di Giorgio, il direttore, che mi ha addirittura telefonato di domenica per chiedermi alcune cose circa la spedizione.

Quando ho ricevuto il volume, la prima esperienza che ne ho fatto è stata fisica. Devo ammettere che nel tempo sono diventata un po’ una feticista del libro come oggetto, e posso confermare che questo libello soddisfa i miei canoni estetici in materia.

Si tratta letteralmente di un manuale, ἐγχειρίδιον, nel senso in cui lo intendevano i Greci, “che sta in una mano”, e già ciò gli conferisce un valore affettivo non indifferente. Un manuale possiamo prenderlo in mano, appunto, accarezzarlo, percepirlo tramite il tatto, un senso molto intimo ed erotico. Inoltre la copertina, sfondo bianco con un’immagine paesaggistica al centro, è un delizioso invito ad aprire, ad assaporare il profumo della carta e a sentirne il gradevole spessore.

Anche il titolo ci ispira ad entrare nelle pagine per ascoltare la voce narrante raccontare il suo sogno. Dentro troviamo una struttura costituita da diciannove capitoli di prosa poetica, ognuno anticipato da una foto in bianco e nero in genere raffigurante un monumento raccontato nel capitolo stesso e da una citazione tratta sempre dallo stesso. Le foto sono state realizzate dall’ autore.

Ho sognato è un passato prossimo, ovvero un passato recente, i cui effetti perdurano nel presente e Giuseppe desidera condividerli con i suoi lettori. Ciò si comprende fin dal capitolo di esordio: “Attraverso una descrizione dettagliata e colma di amore, cercherò di portarvi assieme a me, di farvi ascoltare la colonna sonora del cammino. Sarà un racconto melodioso di un viaggio in macchina, lento come se al posto delle ruote ci fossero i piedi, in cui il veicolo servirà solo a raggiungere i luoghi del sogno”.

Il sogno dunque non è solo quello che si fa di notte, qualcosa di passato, ma è anche una meta, un anelito, una speranza, un futuro. Ecco allora che “Ho sognato” significa sia ‘l’ho fatto’ sia ‘ho sognato di farlo e vi racconto cosa vedrò, in quanto è ciò che desidero fare’. Ed è quanto segue: “Le strade, i paesaggi, i paesi, i torrenti, le montagne, i boschi e il cielo quasi sempre macchiato d’azzurro ci regaleranno le poesie vissute dagli abitanti dei luoghi”.

E alla fine, il gentile messaggio per il lettore: “Mi auguro che tu, caro lettore, possa ritrovare nelle pagine che seguono la tua infanzia, l’infinito leopardiano l’atavico desiderio d’amore, Spero che tu rimanga rapito dal mio e dal tuo sogno: un viaggio nella punta dello stivale, in Calabria, nella natura pura e priva di corruzione, misteriosa e affascinante. Un viaggio in una Calabria baciata dalla luna, dallo sguardo rivolto verso l’infinito mare, mentre il vento prende il suo profumo e lo regala al mondo”.

Man mano che l’autore aggiungeva località al suo elenco la mia tentazione era quella di segnarmi, volte per volta, la provincia di appartenenza in modo da potermi orientare meglio tra il su e il giù di questa lunga regione: poi però ad un certo punto ho lasciato stare. E tuttavia ricordo alcune location che emergono sulle altre. Ad esempio Brancaleone, dove Cesare Pavese venne confinato dal regime fascista nel 1935: “Arrivo sulla spiaggia di Brancaleone, dove una barca vorrebbe prendere il largo, ma una fune la tiene stretta […] Rivedo lo scoglio lungo di Pavese, uno dei maggiori scrittori del Novecento italiano, e mi ricordo di aver intravisto una targa passando con l’auto. O forse era solo un’allucinazione? Eppure, se mi concentro, ricordo cosa c’era scritto…”

E lasciamo al lettore il compito di scoprire la meravigliose parole spese da Pavese sulla Calabria; ma il riferimento a Pavese, non può non suscitare in Giuseppe una riflessione a cui anche il lettore, civicamente e civilmente, si aggrega: “Pavese, uomo venuto dal nord, scopre e fa scoprire un mondo sommerso, calandosi nel buio di una lunga notte in Calabria. Cerca la la luce d’oriente e spiega prima a se stesso e poi agli altri il senso del luogo e del suo confino [ …] Richiudo la porta per tornare al mio paese e non sentirmi mai più solo”.

Questo viaggio nel passato affonda nelle radici stesse della nostra civiltà europea, ovvero nella cultura greca, che fece grande la Calabria, quando ancora non si chiamava così, ma Magna Grecia, per l’appunto. L’elemento greco è in effetti spesso richiamato dal Nostro, anche nei paesaggi, dove magari egli descrive un monumento e insieme il cielo che lo sovrasta. In effetti, come scriveva Heidegger nel Saggio “L’origine dell’opera d’arte”, nel mondo ellenico anche il paesaggio era parte dell’opera e questo perché gli antichi non avevano ancora creato quella cesura, tipica della modernità, tra Natura e Uomo:

“Un edificio, un tempio greco, non riproduce nulla. Si erge semplicemente, nel mezzo di una valle dirupata. Il tempio racchiude la statua del Dio ed in questo racchiudimento protettivo fa sì che, attraverso il colonnato, essa risplenda nella sacra regione. In virtù del tempio, Dio è presente [anwest] nel tempio. Questo esser-presente di Dio è in se stesso il dispiegamento e la delimitazione d’una regione sacrale. Ma il tempio e la sua regione non si perdono nell’indefinito. Il tempio, in quanto opera, dispone e raccoglie intorno a sé l’unità di quelle vie e di quei rapporti in cui nascita e morte, infelicità e fortuna, vittoria e sconfitta, sopravvivenza e rovina delineano la forma e il corso dell’essere umano nel suo destino [Geschick].

L’ampiezza dell’apertura di questi rapporti è il mondo di questo popolo storico. In base ad essa e in essa, questo popolo perviene al compimento di ciò a cui è destinato. Eretto, l’edificio riposa sul suo basamento di roccia. Questo riposare dell’opera fa emergere dalla roccia l’oscurità del suo supporto, saldo e tuttavia non costruito. Stando lì, l’opera tien testa alla bufera che la investe, rivelandone la violenza. Lo splendore e la luminosità della pietra, che essa sembra ricevere in dono dal sole, fanno apparire la luce del giorno, l’immensità del cielo, l’oscurità della notte. Il suo sicuro stagliarsi rende visibile l’invisibile regione dell’aria. La solidità dell’opera fa da contrasto al moto delle onde, rivelandone l’impeto con la sua immutabile calma.

L’albero e l’erba, l’aquila e il toro, il serpente e il grillo assumono così la loro figura evidente e si rivelano in ciò che sono. Questo venir fuori e questo sorgere, come tali e nel loro insieme, e ciò che i Greci chiamarono originariamente Phýsis. Essa illumina ad un tempo ciò su cui e ciò in cui l’uomo fonda il suo abitare. Noi la chiamiamo la Terra”.

Il viaggio di Gervasi arriva a toccare il punto in cui la Calabria si avvicina e si lega, pur separandosi, alla Sicilia, attraverso lo Stretto di Messina. E anche qui è il richiamo al mito a spiegare la storia. Anticamente c’era una bellissima ninfa, Scilla che “viveva in Calabria e spesso andava a fare il bagno in una caletta a Zancle, l’attuale Messina”. Di lei si innamorò Glauco, il dio del mare: per gelosia Circe la trasformò in un mostro. Anche Cariddi forse era in origine una ninfa che però viveva a Messina e che pure fu trasformata in mostro per vendetta divina; i due mostri, dirimpettai, simboleggiano la difficoltà di navigare attraverso lo Stretto, ma al tempo stesso evidenziano il nesso tra le due città così vicine e così lontane.

Nei nostri giorni è stata Nadia Terranova nel suo romanzo “Trema la notte” a mettere in luce il rapporto fra le due città, quale emerse in effetti durante il terremoto del 1908. Tornando al nostro manuale, e concludendo, posso solo invitarvi a leggerlo per scoprire la storia della Calabria, ovvero della Magna Grecia, ovvero la nostra stessa storia di italiani, europei ed occidentali.

Personalmente sono stata in Calabria solo una volta: da dottoranda trapiantata dalle Marche all’Università di Salerno, andai ad un seminario sul De musica di Plutarco presso l’Università di Cosenza; ricordo il viaggio in treno e i luoghi bellissimi che facevano capolino dal finestrino: Scalea e Paola; ricordo il Campus universitario di Rende, accogliente ed arroccato quasi in un mondo a parte, ricordo la cena a Cosenza insieme ai miei colleghi e a tanti professori, come il mio mito assoluto Andrew Barker, massimo esperto di musicologia antica, purtroppo scomparso.

Anche affascinata dal romanzo della Terranova, dall’amore per la fragranza al bergamotto (sia come profumo che come aroma del tè), anche in quanto il mio nome, Filomena (ereditato da mia nonna), è tipicamente meridionale, mi sento attratta dal Sud e ritengo che solo questo è il viaggio verso la scoperta dei valori fondanti della parte fortunata del mondo in cui abbiamo la possibilità di vivere, potendo realizzare i nostri sogni….anche quello di viaggiare nell’Enotria, la terra del vino, il nome antico dell’Italia, ubicata proprio nell’attuale Calabria.

Essere patriottici, come va tanto di moda oggi, implica anche questo. Ed è bellissimo perdersi in questo incantesimo, come direbbe Battiato! Ad maiora semper alla Calabria del cuore!

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