Come equilibristi: l’esordio di Caterina Fiume

Come equilibristi: l’esordio di Caterina Fiume

Recensione di Simona Visciglia. In copertina: “Come equilibristi” di Caterina Fiume, Scatole Parlanti, 2023

Come equilibristi è il romanzo d’esordio di Caterina Fiume. Quando ho finito di scrivere la mia recensione e ho riletto quello che avevo messo giù di getto, ho trovato un errore imperdonabile per chiunque scriva: la ripetizione quasi ossessiva di una parola, equilibrio, cosa imperdonabile persino per un bambino di dieci anni. Ma il lettore mi perdonerà e converrà con me che non esiste altro termine per fare riferimento alla struttura, alla lingua e alla storia di questo romanzo.

Il debutto di Caterina Fiume è ammirevole: non basta avere un’idea e costruire una trama attorno a personaggi interessanti se non la si sa raccontare. E lei sa raccontare. Se scendiamo nel dettaglio, si resta colpiti dalla struttura ben congegnata, equilibrata, di questo romanzo. Partire dal presente per poi riavvolgere il nastro è un ottimo escamotage.

Un incipit sa catturare l’attenzione del lettore solo se è buon incipit e questo indubbiamente lo è: non si può fare a meno di cercare di capire cosa sia successo nel passato di Paolo e degli altri protagonisti. Le prime pagine sono un’alchimia difficilissima da mettere insieme. Ci si gioca tutto su quelle prime righe: sarà capitato a ognuno di noi di scegliere un libro soltanto leggendone l’inizio. Come equilibristi funziona da subito.

Appare interessante l’alternanza dei punti di vista: c’è il narratore onnisciente e ci sono i capitoli affidati invece al racconto in prima persona. Essendo un romanzo corale, questo modo di procedere aderisce alla perfezione agli intenti della scrittrice: tutti hanno un ruolo da protagonisti, hanno la possibilità di esprimere i loro sentimenti, le perplessità, i dubbi, la rabbia, la gioia di vivere. Non manca, per contro, la voce dell’autrice che fa progredire l’azione, che si insinua nelle vite dei ragazzi, senza diventare preponderante, senza disturbare la vena intimista della voce dei singoli personaggi. Ancora una volta, tutto in perfetto equilibrio.

La scelta, poi, di dare un titolo a ogni capitolo, attitudine che forse l’autrice ha ereditato dallo scrivere racconti, è una cosa che dà carattere e spessore a tutte le parti in cui è suddivisa la storia, attribuendo a ogni episodio la sua importanza, il suo rilievo. Dal punto di vista linguistico, ci troviamo immersi in un ottimo italiano, che non si trova sempre nei romanzi attualmente sul mercato.

Caterina, di origini pugliesi, riesce a dosare dialettismi e costrutti che si rifanno al parlato regionale senza mai risultare stucchevole, in perfetto equilibrio tra l’Accademia della Crusca e lo slang barese. L’ordine meticoloso della struttura e della lingua mettono in risalto, per contrasto, l’equilibrio del titolo, che in realtà è una mancanza di equilibrio.

Tutto il romanzo si basa sulla ricerca costante di un punto fermo, sul desiderio di stabilità, soprattutto emotiva, e di pienezza. Nelle prime pagine Paolo, uno dei protagonisti, si lascia andare a un ricordo del padre prematuramente scomparso. Lo rivede mentre sistemava il tavolo traballante della loro sala da pranzo e dice: «Quando quel pezzo di cartone ho cominciato a mettercelo io, il tavolo non è più tornato stabile».

La perdita della stabilità aleggia fin dal principio sulle pagine del romanzo che ci racconta vite a tratti spensierate, bravate giovanili, amori innocenti. E poi le prime esperienze con il sesso, le canne, le macchine rubate ai genitori, i pomeriggi al mare, la scuola. Il lettore incomincia a traballare insieme a quel tavolo che non tornerà mai più in equilibrio.

Nessuno tornerà all’equilibrio irrimediabilmente perso. Perderà l’equilibrio Paolo, cadendo rovinosamente. Farà fatica Fabio a restare in piedi nel corridoio di Vanni, verso la fine della storia. Sono precarie le vite di Rosanna e Lucia che hanno perso il punto di riferimento materno troppo presto. È instabile Isabella che fatica a gestire il suo ruolo di moglie, medico, donna.

Tutti, chi più chi meno, vacillano come quel pezzo di legno all’inizio. Che si tratti di un “disequilibrio” fisico o psicologico, la sensazione di cadere non lascia mai il lettore fino all’ultima pagina. Gli indizi di queste imminenti, possibili cadute sono ovunque. È tutto in bilico, lo sono tutti e lo sono da sempre. Quello che farà precipitare gli eventi è solo una spinta ulteriore verso il baratro.

Le vite dei personaggi sono come una lunga adolescenza turbolenta mai risolta. Senza spoilerare, è doveroso un accenno al finale che deve essere ben costruito, come l’incipit, perché altrimenti si rischia di far perdere valore a tutto il resto. E qui il finale è l’unico possibile, viste le premesse: l’equilibrio è una conquista quasi impossibile.

Come risolvere una storia così complicata? La scrittrice lo fa con un altro evento drammatico e definitivo. Una sorta di cerchio che si chiude, perché l’equilibrio probabilmente ha bisogno delle sue vittime sacrificali o perché forse non esiste, non per tutti.

Dalla quarta di copertina di “Come equilibristi”

Cosa succede se un evento tragico, inaspettato e ineluttabile entra di forza nella vita di quattro giovani amici? Resteranno gli stessi o cambieranno per sempre?
1983: Paolo, Giacomo, Fabio e Vanni, legati da una profonda amicizia, si ritrovano ogni sera al bar di Rino Lo Zozzo, sulla piazzetta n’bacc o mar. Bevono Peroni, chiacchierano, fumano, si divertono, a volte litigano, s’innamorano. Fino alla sera del 18 luglio che stravolgerà irrimediabilmente le loro vite. Nel 2010, grazie a un messaggio inatteso, si ritrovano di nuovo insieme: uno di loro è pronto a dire la verità su ciò che è accaduto quella notte di ventisette anni prima. Si può sopravvivere a un evento tragico, ma l’anima non sarà mai più la stessa.

 

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