Guardando Bartleby al Rendano

Guardando Bartleby al Rendano

Articolo di Adriana Sabato

“I would prefer not to”… dissero i soldati in guerra in tutto il mondo.

“I would prefer not to”… ritorna periodico il detto che caratterizza il personaggio al quale Hermann Melville diede vita nel 1853 in una New York immersa ancora nel contesto della contraddittorietà sociale.

“I would prefer not to”… lo abbiamo ritrovato Bartleby, lo scrivano interpretato magistralmente da Leo Gullotta nell’ambito della Rassegna L’AltroTeatro sul palco dello storico Teatro Alfonso Rendano di Cosenza, con l’adattamento di Francesco Niccolini e la regia di Emanuele Gambadi, liberamente ispirato al racconto di Herman Melville (con Leo Gullotta e con Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci). Niente di più attuale.

Bartleby, lo scrivano…da giovani studenti del DAMS di Bologna avemmo la fortuna di incontrarti e di conoscere la tua storia grazie all’avvedutezza didattica del grande Gianni Celati, nostro Prof di Letteratura anglo-americana al quale si guardava ancora col filtro di chi, appena sbarcato nella città dotta, non vede l’ora di afferrarla e mordicchiarla tutta, prima di metabolizzarne la bellezza.

E dunque incominciammo ad assaggiare sia l’insegnante – ma anche l’uomo – con tutta la sua carica emotiva e appassionata, a volte mascherata ma sempre ricca di gentilezza e umanità, come uno non si aspetta.

Il corso monografico consisteva proprio nella traduzione del racconto di Melville: ci dividemmo in gruppi. Non nascondo la difficoltà del lavoro. Non causata dall’operazione di trasferire in italiano ciò che l’autore narrava, quello no; fu il contenuto a presentarsi complicato. Sembrava un infinito nonsense. Era quella la vera astrusità: eravamo al primo anno di corso e giungevamo ognuno da realtà e contesti diversi, ma soprattutto da scuole superiori di diversa matrice. Anche noi fummo tentati di pronunciare quella frase: “I would prefer not to”

Solo l’unione delle nostre abilità intellettive riuscì a far sì che ciò non avvenisse e che il lavoro si potesse completare e presentare al Prof con le dovute spiegazioni e le giuste preoccupazioni da parte di noi studenti.

Risultò un impegno premiato il nostro: per fortuna la traduzione piacque e l’esame nel complesso andò a buon fine. Anche se “I would prefer not to”… rimase per sempre impresso nelle nostre vite, come un marchio, un tatuaggio permanentemente stampato sulla pelle…“I would prefer not to”… un personaggio, Bartleby, d’immensa tenerezza infilatosi come un granello di sabbia negli ingranaggi di una macchina enorme. Enorme come la guerra. Alla fine quel meccanismo fatto di pistoni e di cilindri e di olio motore, di fili e cavi e stantuffi, si è inceppato! Ha sconvolto il sistema. Un insieme immenso fatto di abitudini e consuetudini.

Consuetudo quasi altera natura, diceva Aristotele; i ragionevoli accordi, come li chiamava Celati, su cui si reggono i nostri rapporti con gli altri. Le usanze. La ripetizione di atti aventi la stessa natura, così si può tradurre la frase del filosofo greco, atti che nella nostra vita creano un linguaggio falso rispetto a noi stessi, ma così forte da sembrare essere il vero linguaggio e la vera realtà di ciò che siamo. Falso come la guerra.

Non così per lo scrivano. Inerme e solitario nella sua folle dolcezza segnata dal destino delle lettere smarrite e mai arrivate, la sua storia oltrepassa un limite che forse pochi hanno il coraggio di valicare ma che lascia un segno e che in fondo, a ben guardare, e senza saperlo, è rimasto in ognuno di noi. È forse questa l’eredità del grande Gianni Celati? Non saprei, però ce la teniamo stretta.

“I would prefer not to”… dissero i soldati in guerra in tutto il mondo. gettando per sempre in terra armi e fucili.

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