Ifigenia. Da Racine a San Guedoro per una traduzione in rima che racconta dell’uomo

Ifigenia. Da Racine a San Guedoro per una traduzione in rima che racconta dell’uomo

Recensione di Martino Ciano. In copertina “Ifigenia” di Jean Racine, tradotto in rima da Lodovica San Guedoro, C&P Adver Effigi, 2024

Una rilettura della rilettura per rendere vivo, più attuale, il mito di Ifigenia, l’opera scritta e messa in scena nel 1674 da Jean Racine, già con qualche ritocco rispetto alla storia originale.

Lodovica San Guedoro si cimenta con la sacralità di un’opera senza tempo, con il discorso del contrasto tra ambizione personale e tutela del prossimo. Infatti, è enorme il prezzo che viene chiesto ad Agamennone, da parte degli Dei, ossia sacrificare sua figlia Ifigenia per giungere con tranquillità a Troia.

Tutto ciò avviene poco prima che le navi prendano il largo. Il messaggio giunge al Re dei Re per bocca dell’oracolo Calcante, ma c’è un equivoco. In molti sapranno già tutto su questa tragedia, ma preferisco rimanere vago, non “spoilerare”, come se questa storia appartenesse alla letteratura contemporanea.

Agamennone non sa cosa a fare, anche se la prima risposta che si dà è quella di provare a ingannare tutti, cercando di salvare i suoi desideri di conquista e sua figlia. Egli ha dei doveri verso i suoi uomini, verso la Grecia e anche una smisurata sete di potere. Ma dall’altra parte c’è la sua amata Ifigenia, promessa in sposa ad Achille, l’eroe delle sue truppe che, di certo, non potrebbe mai accettare un sacrificio del genere.

Eppure, ogni cosa frutto dell’equivoco, di un gioco che però mette a dura prova il cuore di ciascuno dei protagonisti. Ed è per questo che l’opera, nonostante i suoi adattamenti e le sue traduzioni, resta il simbolo della famelica ambizione che guida l’uomo di potere, che non può fermarsi neanche davanti a ciò che più dovrebbe amare.

E se anche ciò avvenisse, salvare un altro a costo dei propri desideri o delle ambizioni, è sempre qualcosa che si accetta con difficoltà, che apre nell’anima una ferita che mai viene sanata. Agamennone, per quanto la sua prepotenza sia leggenda, è un uomo “secondo misura”. Infatti, è il semidio Achille ad avere altri pensieri, se proprio vogliamo leggere alcune sottigliezze tramandateci per secoli e secoli. L’unica che non ha nessuno indugio su cosa scegliere è la madre di Ifigenia.

Dal punto di vista della traduzione, Lodovica San Guedoro non stravolge, adatta, plasma rime, rende tutto più fluido, liberando l’opera dalla sua “rigorosità” linguistica. È il messaggio che non deve cambiare. È infatti l’equivoco che salva tutto, non l’uomo e la sua volontà. È la Necessità che impone il suo cammino, non le ambizioni di Agamennone, e sebbene tutto ciò fosse chiaro ai Greci, comunque l’inganno è l’escamotage preferito da ciascuno. Anzi, è la risposta immediata.

È la gloria, quella che viene fomentata dalle buone opinioni, che interessa ad Agamennone. Ed è questa la parodia degli uomini, da sempre.

Due domande alla traduttrice

Quanto ti ha impegnata questa nuova traduzione e, soprattutto, ce n’era bisogno?

R: Mi ero accinta a leggere la traduzione di Flavia Mariotti, edita da Marsilio nel 2007. Di Racine conoscevo e amavo già molto Phèdre, letta in francese e in italiano, molto tempo prima. E a cui avevo issato un altare in Fedra e le mammine nei caffè. E ora mi accingevo a conoscere e ad amare Iphigénie, leggendo l’originale e la traduzione: Iphigénie…

Che delusione, tuttavia, quella traduzione, quando l’abbordai, quanto mi apparve scarna e disadorna! Io avevo la fortuna di poter leggere l’originale. Ma gli altri, quelli che non conoscevano il francese? Che Racine avrebbero conosciuto mai? Smisi di leggere. Filologicamente correttissima, quella della Mariotti era poeticamente scorretta. Mentre io avrei voluto leggere una traduzione completa, che fosse fedele al contenuto e nello stesso tempo si presentasse in una smagliante e multicolore veste poetica; una traduzione musicale, sbrigliata, giocata, spericolata, sontuosa, capace di rapire i sensi. E, per leggerla, mi fu presto chiaro che non avevo scelta: mi occorreva confezionarla io stessa. È quel che ho fatto, e si può ben dire che ho letto questa tragedia solo mentre la traducevo.

Affinché il lettore ignaro di francese potesse sentire qualcosa del ritmo vibrante dell’originale, ho tradotto Iphigénie, per quanto possibile, in rima; ma, con la consapevolezza immediata che una tale sfida non fosse perseguibile per tutto l’arco del poema, ai versi in rima, ho inframmezzato versi liberi, in una lingua meno semplice di quella raciniana, a tratti montiana, a tratti più barocca, e dotata di un’altra musicalità. Giacché, ancor prima delle rime, e di una comunque irraggiungibile perfezione metrica, mi premeva proprio la musicalità. Non potevo agire come avevo agito scrivendo ex-novo tutto un romanzo in rima (D’argolo e Ginevra trasgressive le avventure), dove le rime condizionavano, creavano, indirizzavano il pensiero; misteriosamente, genialmente, nascevano in uno col contenuto. Pur perseguendo l’aderenza anche formale all’originale, quando invece la mia lingua non poteva attenercisi, ho fatto ricorso quindi a uno stile tra montiano e barocco, scaturito d’istinto non dal francese, ma dalla mia lingua madre: in definitiva era in italiano che doveva rinascere il poema! E l’italiano aveva la sua storia, i suoi differenti strati, le sue molteplici manifestazioni formali. È stato come camminare su un’asse d’equilibrio per tutto il corso della traduzione del poema: muovendomi tra la fedeltà a Racine e la fedeltà allo spirito della lingua italiana. Il timore di creare un ibrido mi ha tenuta per un po’. Ma poi la mia bussola in tutto questo errare, il piacere estetico, ha messo a tacere gli scrupoli. Talvolta nella revisione m’incagliavo nei versi dove, con una sensibilità probabilmente esasperata, sentivo una disarmonia, auscultandoli, rileggendoli – rileggevo il testo quasi sempre ad alta voce – fino all’esaurimento delle energie nervose. E finché, modificando qualcosa o no, non trovavo pace.

Chi è oggi Ifigenia?

R: Alla seconda domanda in verità hai risposto già nella recensione. Ifigenia è più che mai attuale. Ifigenia è chiunque, uomo, donna, bambino o vecchio sia vittima di crudeltà e violenza. Ifigenia è la stessa parte innocente dell’assassino e del prevaricatore, Ifigenia è la Natura continuamente violata e insensatamente depredata e sfruttata dall’uomo.

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