Gli esclusi. Elfriede Jelinek e la rivolta indifferente

Articolo di Martino Ciano. In copertina: “Gli esclusi” di Elfriede Jelinek, La nave di Teseo
Sullo sfondo di questo romanzo sta Camus che si insinua nella mente di Rainer, uno dei giovani protagonisti.
Gli esclusi è un’opera che ha quarantadue anni, ma ha il fascino del classico che oltre a essere letto va compreso e studiato in tutte le sue sfumature. Elfriede Jelenik ha ricevuto il Nobel per la Letteratura nel 2004, ma non è questo a fare grande l’autrice austriaca, per giunta poco conosciuta in Italia, ma quello stile che trasforma in ironica e grottesca parodia ogni evento violento.
Gli esclusi di cui parla Jelenik sono quattro adolescenti che vivono nell’Austria del secondo dopoguerra. Le macerie culturali del nazismo sono ovunque, mentre le fondamenta del nuovo stato socialdemocratico che promette felicità, benessere, democrazia, liberazione dai miti razziali e di classe sono fragili e opportunistiche. Nel mezzo sta il vuoto di comprensione che rende tutti spaesati, stranieri, gettati in una rivolta contro l’indifferenza.
Un’epoca è finita e un’altra è iniziata, ma la generazione che dovrà fare i conti con Auschwitz sa bene che anche il dolore si dimentica e che l’uomo in mezzo alle rovine non può affidarsi solo alla poesia, all’arte, alla libertà sessuale e al consumismo. Per sentirsi viva ha bisogno di gesti tangibili, a volte brutali. I quattro protagonisti del romanzo sono Hans, Rainer, Anna e Sophie.
Sono di classi sociali diverse, provengono da ideologie opposte. Sono studenti, lavoratori, disillusi. Nel tempo libero organizzano furti, aggressioni e fabbricano bombe. Rainer è un amante della filosofia e della letteratura. È un timido che organizza mentalmente le sue violenze. I suoi vagheggi sono delittuosi.
Ama Camus e incarna il suo pensiero. Se il mondo è indifferente, allora anche lui lo sarà e per farsi ascoltare parlerà attraverso azioni brutali, perché esse risvegliano le coscienze per un attimo, poi tutto svanisce… il dramma è che anche il dolore è solo un momento.
Hans è invece un giovane operaio, sua madre lo avvia alla lotta di classe, ma lui è un uomo-moderno. I simboli del capitalismo si amalgamano a quelli ideologici, tutto diventa cosa, soprattutto la donna. Sophie e Anna invece sono adolescenti pronte a gettarsi nella vita, quella sfrenata, in cui il sesso e la violenza donano orgasmi profondi che spingono oltre i confini del bene e del male, fino al nulla. L’indifferenza è per i protagonisti una visione ottimistica ed è qui che compare il vuoto di comprensione tra il passato e il presente: si è usciti da un’epoca di violenza totale per attraversarne una in cui la violenza è una libera scelta.
Caduti i tabù sessuali, anche quelli più ancestrali, resta la brutalità, l’annichilimento della ragione. Rainer, fratello di Anna, pensa anche a rapporti incestuosi. Non è solo ispirato da Camus, ma anche da De Sade e Bataille.
Così, sullo sfondo di un’Austria alle prese con una modernità scomoda e reificatrice, ad essere esclusa è l’intera umanità che va alla ricerca di una nuova isola felice su cui ritrovare il senso della vita. Ma se indifferente è il senso del mondo, allora tutto è concesso ed è forse proprio la violenza l’ultima arma che hanno a disposizione questi quattro giovani per imparare ad amare… cosa?