Di generazione in generazione. L’incontro, lo scontro e la quasi adolescenza
Articolo e foto di Martino Ciano
Sarà meglio riassumere perché questi tre ragazzi hanno detto tanto, troppo, e spesso bisogna trovare le parole giuste. Vero?
La ragazza che prega è ormai lontana e noi cani morti siamo rimasti qui, nella piazza circondata dai palazzi. I tre ragazzi mi hanno spiegato che ognuno di loro cerca la felicità, ma non è di questo luogo, di questo paese; a patto che non ci si accontenti. Cosa vuol dire accontentarsi? Forse, lasciarsi andare e non opporsi, ché nulla cambia. Si vive una sola volta, dice il ragazzo con la Terza Media. Meno male, continua quello con il Padre Giustiziere. Ma andate a fanculo, conclude ridendo quello con i Genitori Separati.
La perfezione invece esiste e si trova facilmente in Internet, nel Grande Altro. Ogni risposta, ogni soluzione, ogni evasione; tutto è lì, in un click e in una buona connessione dati. E quando non si raggiunge la perfezione è giusto punirsi. Sei curvy, sei magro, sei triste, sei allegro, sei spensierato, sei gay, sei lesbica; scegli, l’importante che tu segua il decalogo del perfetto ciò che vuoi essere. E poi?
E poi, mi raccontano che La ragazza che prega, che voleva essere perfetta in più cose senza però riuscirci, si divertiva con una lametta. Uno sfregio sulla pancia, vicino al polso, vicino alla caviglia, dove capitava. Piccoli, impercettibili taglietti. Il dolore è bello, a volte ti fa ridere. E anche i miei tre interlocutori ci avevano provato, spegnendosi le sigarette sul corpo o pungendosi i capezzoli con degli aghetti. Non ci credete? Mi chiede quello con i Genitori Separati. Ci siamo mandati anche delle foto e dei video su WhatsApp. E ridono. Giochi da coglioni! esclama quello con la Terza Media mentre si accende un’altra sigaretta. Poi, rivolgendosi agli altri, Ave Maria me la prendo io, ca io nun pregu li muorti, ma sacciu futti li vivi. A te pensa, risponde quello con i Genitori Separati, per quella ci vogliono la villa, i soldi e pure il cocco, ché secondo tira come una mula. Poi la domenica ti devi andare a confessare in chiesa.
C’ho Netflix, risponde quello con la Terza Media. E tutti e tre ridono, ché la sera si avvicina e andranno a divertirsi da qualche parte agitando un cocktail annacquato, ché hanno i soldi solo per prenderne uno. Ni calamu qualcosa e poi sbariamu… E noi siamo i brò da chiazza, Signò; che poi la mettiamo la testa a posto, la mettiamo. Anch’io rido, non ho nulla da controbattere, non li rimprovero, non li bacchetto. Anche noi eravamo così: perfettamente spaesati, ufficialmente sfatti. Poi la testa a posto l’abbiamo messa, tant’è che ci mancano quei tempi di disperazione allegra, mentre naufragando come idioti ci puntavamo il dito l’uno contro l’altro, come a dire: siamo coglioni, ma ce la faremo; è tutto un gioco, noi siamo bambini capricciosi.
I tre ragazzi mi hanno salutato. La conversazione è finita lì. Intanto questo paese è rimasto immutato, immobile, privo di aspettative, privo di coraggio. Siamo figli di una società collusa a cui tutto va bene, fin troppo. No, nessuno si è salvato; tutto al più qualcuno se l’è cavata. I problemi sono rimasti gli stessi: la voglia di fuggire, di andare a morire altrove, il rimpianto, il rimorso, l’attesa e la speranza.
Cala la sera sul Golfo di Policastro. Uso il presente storico perché qui ogni sera si impossessa del cielo seguendo il solito copione. Tutti i tramonti ci donano un sospiro di sollievo e qualche speranza: attendevamo il miracolo all’epoca, ne attendiamo uno anche oggi. I tre ragazzi si sono allontanati in fretta, forse già non mi pensano più. Però mi hanno salutato.
Per loro sono stato un diversivo, un momento, un passatempo che si è sgretolato rapidamente. Stasera avranno le loro cose da fare. Un giorno, quando leggeranno questo articolo, neanche si riconosceranno… penso che sia un bene, certe cose è meglio non prenderle sul serio.