Enogastronomia in fuga: nient’altro che una purga

Articolo e foto di Martino Ciano
Enogastronomia in fuga: le frontiere della Calabria sono state oltrepassate. Mezzi pesanti, leggeri e veloci hanno deportato i figli delle generazioni boomer. Quelle della “Generazione Z” invece si moltiplicheranno altrove e hanno già iniziato a perdere l’accento della terra natia, pur portando nei loro appartamenti cittadini i prodotti della tradizione.
L’enogastronomia diventa il ponte tra il vecchio e il nuovo, tra la rabbia e la promessa di un non ritorno. È gratificante sapere che soppressate e ‘nduja saranno gustate in compagnia dei forestieri: anche questa è promozione che svilupperà un giorno il turismo di ritorno; al momento, la possiamo chiamare “rinculo da destagionalizzazione forzata”.
Chi rimane invece sta sempre nella parte più bassa della parabola e continua a discendere senza dire una parola: emigrare è un fenomeno naturale, come la neve ai poli.
Intanto, le nuove ere politiche indigene, spinte in un primo momento da un sentimento “incendiario” che ha fatto riecheggiare il più violento Futurismo, si sono “ammorbidite”, facendo rimpiangere i tronfi protagonisti dell’era patriarcale. I tabù tornano di moda: il nuovo ha fallito, torniamo ai cattivi maestri, abbracciamo la distruzione allegra di un tempo.
Un mio amico tornato per un breve periodo di ferie nota che nel panorama politico girano sempre i nomi delle antiche casate: la classe dirigente è incapace di procreare nuovi eleggibili. Gli rispondo che il concepimento è una cosa seria, qui da troppo tempo si pratica l’onanismo e lo spreco di sperma ha attirato la punizione di Dio: la pena è l’immobilismo.
Come dice qualcun altro, qualcosa bisognerà fare per non morire di vecchiaia. Inoltre, nessuno ci pensa al fatto che prima o poi bisognerà tirare le cuoia e che andarsene con onore vale più di una vita allungata dalle medicine. Ma l’accanimento terapeutico è l’unica strada maestra e lungo di essa si fanno proseliti: vecchio è bello, sottolineano certi rivoluzionari pentiti e chi siamo noi per dargli torto.
Mentre i ripensamenti guaiscono e i rimorsi di coscienza sbraitano, senti sussurrare da alcuni capi popolo l’ardua sentenza: eravamo il futuro, ora siamo nient’altro che una purga.
Se ti è piaciuto questo articolo clicca e leggi anche l’articolo di Martino Ciano: “A tutte le partenze, ma ciò che è mai può non essere”