La coscienza delle piante. Nikolai Prestia e la riflessione sul fallimento

La coscienza delle piante. Nikolai Prestia e la riflessione sul fallimento

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “La coscienza delle piante” di Nikolai Prestia, Marsilio Editori, 2024

Fallire: una colpa o un accadimento necessario che ci serve per maturare? Esiste il fallimento o è solo una nostra invenzione? “La coscienza delle piante” di Nikolai Prestia mi ha lasciato queste domande, ma anche tanti altri quesiti che dimostrano lo spessore di questo romanzo.

Con una scrittura incisiva, sempre chiara, lontana da ogni tipo di cliché in cui si potrebbe scivolare a causa di questo tema, diventato pane quotidiano di coach motivazionali, youtuber e tiktoker narcotizzati dalla psicologia fai-da-te, l’autore ci fa entrare in contatto con la “patologia della nostra epoca”: il terrore di non portare a termine il nostro progetto di vita.

Il protagonista è un ragazzo introverso, punzecchiato da quel dolore che a fatica riesce a trattenere e che straripa in attacchi di panico. L’ennesima crisi lo porta in un Pronto Soccorso nel quale incontra uno psicologo che innescherà in lui un esame di coscienza con cui verrà fatta piazza pulita della polvere nascosta per troppo tempo sotto i tappeti dell’anima.

La morte prematura della madre fa scattare in lui un meccanismo di autocastrazione, così come le pressioni del padre, per la lentezza con cui compie gli studi in Giurisprudenza a Siena, sono i tanti strumenti di tortura che Marco, personaggio principale, adopera su sé stesso. A guidarli però non è solo lui, ma anche quel complesso corpo di categorie e regole che dà forma alla società.

Marco fa parte di coloro che vengono completamente travolti da questo invisibile spauracchio capace di generare opinioni che si tramutano velocemente in inoppugnabili certezze. Solo alcune cose sono importanti; solo chi rispetta le tappe del proprio progetto di vita infinito è degno di rispetto; solo chi non si lascia trovare impreparato dagli improvvisi e multidirezionali impulsi che provengono dal più cieco vitalismo è considerato al passo con i tempi.

Pertanto, per dirla alla Hegel, le fobie, le manie autolesioniste, la depressione, gli attacchi di panico, rientrano in quel “male necessario” tramite cui il protagonista, e tanti altri come lui, hanno la possibilità di accorgersi di quanto il nostro sistema sia banale e costruito sull’effimero. Nonostante tutto, è davvero difficile trovare un modo diverso di interpretare e di superare il fallimento.

Logicamente, tutto questo lo scoprirete leggendo il romanzo, immergendovi in queste pagine ricche di colpi di scena, ma anche di riflessioni che sono frutto – azzardo un pochino – di qualche esperienza personale dell’autore. Il motivo di questa mia supposizione è dato dal fatto che alcuni episodi sono raccontati con quella tensione che solo “il vissuto” è in grado di dare; ed è pure questo quello che si dovrebbe chiedere alla letteratura: il racconto di un’esperienza che non abbia intenti persuasivi, ma che sia capace di farci distaccare dal nostro punto di vista e dalle nostre opinioni.

Sia ben chiaro, potrei anche sbagliarmi, ma ciò non toglierebbe nulla e non renderebbe il romanzo di Prestia meno interessante. Anzi, lo scrittore è riuscito a far parlare, tramite il suo personaggio, la “malattia mortale” della nostra epoca, suggerendoci finanche una “rivolta” che potremmo mettere in atto da subito.

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