La Farragine. Alfonso Guida nel suo scrivere e rammendare

La Farragine. Alfonso Guida nel suo scrivere e rammendare

Articolo di Marco Masciovecchio. La foto in copertina è stata fornita dall’autore

È uscita alla fine del 2024, nella collana “Due mari” de “La Casa del libro Mandese” di Taranto curata da Barbara Gortan, “La farragine”, ultima raccolta di Alfonso Guida. 

“Lavoro tutto il giorno come un monaco” con questo verso tratto da Poesia in forma di rosa (1964) di Pier Paolo Pasolini, voglio iniziare questa breve nota di lettura. Alfonso Guida ha scelto, inizialmente, di andare via, e poi di far ritorno nel suo paese di origine San Mauro Forte, un comune che, come molti piccoli paesi del sud Italia muore, e muore con il suo testimone con l’eremita Alfonso.

Da lì, dal suo isolamento volontario, nascono i suoi libri e i suoi versi. Un testimone instancabile del tempo che tutto cancella tranne la parola, tramutando anche i ruderi in polvere: “A che serve la polvere, il sangue che si addensa in graffio,/ le immagini in cui sprofondi dormendo? L’enigma/ si è rotto. Ora guardi un mistero inservibile, invernale,/ lo scheletro di calce a cui ogni fantasma si è ridotto,/ tendi a diminuire i sopralluoghi e ogni frazione/ del cervello reagisce come può, allargando le raffiche/ tese della paralisi”.

Nel suo eremitaggio, ogni tanto amici e poeti fanno incursioni (sempre molto apprezzate da Alfonso), interrompendo lo studio continuo e la scrittura incessante, perché per Alfonso studio e scrittura sono il suo respiro. “La Farragine”, suddiviso in sei sezioni, è tutt’altro che un miscuglio di “storie”, ma è un insieme di frammenti del puzzle della realtà umana dello scrittore, una sorta di diario di bordo.

Alfonso Guida ha una voce poetica unica, definita, e in questo testo la ritroviamo nella sua pienezza e interezza. Luci e ombre sono binomi inseparabili.

La farragine di Alfonso Guida, copertina


Ti lascio entrare perché io non distinguo.
Mi ometto come parte del discorso.
Non ho più soldi per pagare chi amo.
L’orlo è vuoto ed è vano che io sia vivo.


Quando penso, mi stacco, evaporando,
vado in alto, come il fumo del tossico

Chi esiste occupa un peso, una misura,
sta sul gradino della Scala di Bach


Nel poetare di Guida (cito Marco Ercolani) “non si ha mai la percezione di leggere un libro scritto in versi perché Guida resiste a ogni musica consolatoria, a ogni cantilena ritmica. Non è lui, ad adattarsi al canto delle parole: è piuttosto il suono delle parole a disossare i suoi timbri e le sue risonanze per diventare fedele autobiografia del poeta e sigillare il suo dolore di scorticato testimone in racconti, riflessioni, parabole, vite, riti, ricordi”.

Mio Fratello

Le resistenze, farneticando, l’insondabile,
mi attediano. Nostro padre era un verme.
Screziava il senso critico col crimine.
La tua strada urta lo squallore afasico
del giallo del Tirreno.

Bevi, balbetti, tormentato dall’imprendibile.
Hai sperperato il tuo seme in America.
Hai tentato con l’utopia di Castro, ma ti hanno espulso.
Diseredato dai margini, ora gridi, imprechi.
Non esiste un silenzio sereno. Non c’è un cielo muto.


Nell’invitarvi alla lettura di “La Farragine”, lasciandovi perdere nella foresta dei suoi versi, riporto dalla quarta sezione: Poetalia.

Io

Le parole si vanno indebolendo,/nella notte, ma rimedio la quiete/fisica del seme e attecchisco al margine./Sconfitte le scommesse, ascolto l’indole./Contraggo l’infezione del promiscuo/perpetrarmi in nome del sacrificio./Sto male se entro nel tempo, lasciando/mia madre e il paese in cui sono nato,/questo letargo, questo paradiso./Le persone che l’angelo non visita/sono le più infelici, le più vuote,/sono le persone senza destino,/che non saranno madri e non sapranno/scrivere lettere, offrirsi a un traguardo./Bisogna progettare un tu ogni giorno./Bisogna stare soli. Mai, nessuno,/chiodi. Mi salverò ingorgato da Itaca.


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