Bailamme e i manichini della contemporaneità

Bailamme e i manichini della contemporaneità

Articolo di Achille Benvenuto. In copertina: “Bailamme – acrilico su manichino” di Achille Benvenuto 

Bailamme, ossia un manichino, uno dei tanti simboli dell’odierna società capitalistica, diventa rappresentazione dell’essere umano e del caos in cui vive. Con lo sguardo assente sul vuoto, assiste tragicamente alla mercificazione del lavoro, dei sentimenti, dell’arte, delle religioni, nel sottofondo di un linguaggio banalizzato.

Personalmente, nei versi di Hikmet “le più belle parole sono quelle che ancora non ti ho detto” trovo quel senso di insaziabilità, quella insoddisfazione che oggi permea le nostre vite, costantemente frustrate perché alla ricerca di una perfezione irraggiungibile e vana, ancorata a paradigmi alquanto discutibili. Bailamme non ha sesso, o meglio, incorpora confusamente la sessualità femminile e quella maschile, in una fluidità di genere che nega identità binaria e stereotipie.

Si copre di piume di pavone, incarnando contemporaneamente i valori diurni delle forze cosmiche e solari e i valori notturni di presunzione e indiscrezione. Ma nel pavone rinviene anche la volontà di dominio, l’esaltazione dell’orgoglio e l’atteggiamento seduttore. In questo coacervo distonico di valori trovano altresì spazio la fortuna, la religione, il lavoro: anch’essi ahimè ridotti a meri simboli (sappiamo tutti di quanto oggi sia diventato difficile parlarne senza entrare in una qualche contraddizione).

Le religioni sono ragnatele che imprigionano Bailamme quando, al contrario, dovrebbero condurre alla libertà. Pare che siano vissute in nome della fede e della speranza, ma non della carità (eppure, la lettera ai Corinzi San Paolo la scrisse duemila anni fa). Ed è per questo motivo che perdono senso, così come perde senso la democrazia quando viene esercitata accentrando il potere, e non decentrandolo.

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