Con Effe. Nicola Manicardi e l’assenza che testimonia la presenza dell’amore
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Con Effe” di Nicola Manicardi, Qed Edizioni, 2024
E così ci tuffiamo tra i versi di Nicola Manicardi, poeta che si insinua tra la malinconia del tempo perduto e il desiderio di quello che si vorrebbe vivere. L’assenza come testimonianza di un’affettività incompleta è la sostanza che unisce i versi di questi componimenti.
Ma quanto è difficile riuscire a raccontare l’amore, non tanto quello negato, quanto quello idealizzato che si siede in ogni stanza, che si intromette in ogni gesto, che non lascia mai del tutto i nostri pensieri. Diventiamo migliori in quei momenti? Ci rendiamo conto di cosa sia davvero importante per noi? Addirittura, possiamo trasformarci in poeti?
Suvvia, non c’è bisogno di rispondere, anche perché Manicardi tiene i suoi versi lontano da ogni forma di sentimentalismo, preferendo invece raccontare gli istanti in cui si vorrebbe al proprio fianco quella persona che ci fa sentire bene, durante i quali si è persuasi da quel demone denominato “amore”, che, come dico sempre, non è né bello né brutto, ma è necessario per il nostro “stare nel mondo”.
È il canto silenzioso della sera/lo scrivere sul nero la domanda./Non so se esista l’infinito ma credo/sia poesia questo allungarsi./Veloce taglia e cuce questa balza/scesa sui miei occhi a suon di grilli./Dimmi ora quanto basta per darmi/il respiro che mi manca./Ho fame di memorie e paure/effige del momento sul mio viso./Cerco viola che mi paga e non/la grancassa della festa./Tu occhio che non vedo in lontananza/tu scuro avvenimento di rugiada/miagola ferite e sangue/duplice sarà il mio bacio/quando nascere mi staccherà da terra.
E se questa ripetizione di assenze assume anche un nome, identificandosi con quell’EsserCi nella realtà, allora diventiamo ancora più tenaci, tanto da essere ossessionati da quella presenza che ritroviamo anche nelle “briciole” del pane o in una “macchia di caffè”.
Manicardi ci fa dunque trasmigrare in quel limbo in cui l’anima ciondola tra l’attesa di un nuovo corso e il ricordo del passato. Certamente, giusto per rispondere a una delle domande che ho posto poc’anzi, lo scrittore modenese poeta lo era anche prima di questo libro, visto che dalla sua parte ha altre pubblicazioni, solo che questa volta si fa servitore di una poetica delicata, ma pur sempre tendente a quella impetuosità che la lontananza della propria “Effe”, anche se momentanea, rende tutto più discontinuo.
Non è questa la prova di una “dipendenza affettiva”, ma la conferma di aver scoperto che, dopotutto e nonostante tutto, gli uomini sono su questa terra per legarsi e non per allontanarsi, per comprendersi a vicenda e non per difendersi l’uno dall’altro, per rendersi parte di un disegno collettivo, per giunta imperfetto, ma che ogni giorno ci rivela il senso di ogni accadimento.
Sto scrivendo una poesia in bianco./Senza lettere e righe/né inchiostro che possa testimoniare./Un bianco che sia un panno immacolato/o un lenzuolo o la carta strappata sulla tavola./Sto scrivendola con gli occhi e col dolore/pensando a quanto fa male/non trovare traccia nel vedere/che il respiro è uno nell’immenso.