L’acqua del lago non è mai dolce. Giulia Caminito e la rabbia per la povertà
Recensione di Letizia Falzone. In copertina: “L’acqua del lago non è mai dolce” di Giulia Caminito, Bompiani, 2021
Una storia dura e amara: l’autrice, Giulia Caminito, ci mette subito in guardia col titolo.
Un racconto di povertà, di case in assegnazione, di una famiglia sgangherata, di un fratello maggiore figlio di un altro uomo, di due gemelli, di un padre in sedia a rotelle ridotto allo stato larvale, che si spegne ogni giorno di più come un moccolo lasciato acceso troppo a lungo, sfibrato e silente. Di una figura materna forte, caparbia e assertiva, che lotta ogni giorno per la sopravvivenza della famiglia, perché la vita non le ha fatto sconti.
L’io narrante è una ragazza che vedremo prima bambina poi adolescente e adulta, fino alla laurea. Un romanzo di formazione? Più che altro di distruzione, direi.
La vita di Gaia è un’eterna strada in salita, un percorso ad ostacoli imposto dall’essere nata in un nucleo familiare schiacciato da difficoltà economiche che ne condizionano l’esistenza. Una ragazza che non riesce a vivere le amicizie spontaneamente, si vergogna delle sue origini, della sua famiglia, della sua casa stretta, tant’è che non invita mai nessun’amica a fare i compiti da lei.
Ci accompagnano i suoi mutevoli stati d’animo, la sua rabbia dapprima repressa e poi esplosiva, il suo rancore verso le élite che possono ottenere tutto ciò che lei fatica anche solo a sognare.
Lei però non è una povera vittima innocente dei bulli della scuola, delle amiche che le hanno portato via il ragazzo: dentro di lei cova una rabbia così forte da straniare talvolta il lettore. È capace di fare del male, di picchiare, anche di ammazzare per cieca vendetta. Come lei stessa dice, neppure le amiche la conoscono bene e non sono in grado di concepire la portata “dei miei momenti schizoidi, delle mie imprevedibili ma cadenzate reazioni esagerate”.
E il lago? Il lago è sempre sullo sfondo, onnipresente quasi in ogni capitolo. È il lago di Bracciano con le sue credenze, i suoi miti, il suo presepe subacqueo. È un elemento positivo della storia, ma non fino in fondo “molto tempo fa era un vulcano, perché questo è il nostro lago: il risultato di una implosione”.
Implosione. Anche nella protagonista si verificano delle implosioni di rabbia; è una supernova che fa terra bruciata.
Antonia prova a salarne le acque, prova a crescere Gaia secondo la sua tenacia ed i suoi intendimenti, ad inculcare valori e sacrifici, l’amore per lo studio, la rinuncia a cellulare, televisore, capelli lunghi e curati, modernità, piacevolezze dell’esistenza varie; vuole che lo studio, ed i sacrifici che comporta, riscattino lei e la figlia.
Gaia deve reagire però in qualche modo. Non può opporsi ai dettati imposti dalla figura materna, non può che esserne soggiogata. Si difende allora innalzando una barriera impenetrabile che la rende inarrivabile e mai feribile. I colpi che la vita riserba non possono scalfire la sua corazza, non possono piombare nel suo io più profondo. Anche quando perde i legami più cari, anche quando l’amicizia la fa soffrire, anche quando l’amore la delude: lei non può andare in pezzi.
Più volte durante il racconto ci imbatteremo nella sua furia e la perdoneremo.
“L’acqua del lago non è mai dolce” è un romanzo che si nota innanzitutto per l’accuratezza nello stile, nella scelta delle parole e per la particolarità nell’usare frequentemente lunghi elenchi di parole, frasi, riflessioni che hanno il pregio di rafforzare certi concetti.
Caminito, di estrazione borghese, fa una scelta coraggiosa nel rappresentare un contesto di povertà tramite l’immedesimazione. La scelta si rivela vincente. Attraverso Gaia, spesso eccessiva e detestabile (in verità punto di forza del personaggio), riesce a rappresentare appieno la desolazione adolescenziale e l’incomunicabilità che spesso caratterizza e distrugge l’essere umano.
La protagonista ricorda a tratti Lila de “L’amica geniale”: rabbiosa, brillante e povera. Tuttavia, per quanto si possa paragonare alla Ferrante, Caminito rimane una voce ben riconoscibile.
Un romanzo di contenuti, una scatola che ne racchiude molte altre, una voce narrante che coinvolge ed incalza il pubblico a completare il cammino insieme a lei. Questa non è una storia di redenzione e non se ne percepisce l’intento da parte dell’autrice; è una storia il cui peso specifico è importante nella formazione di chi scrive, come un tatuaggio sulla pelle.