Pacchetti, cani e altre questioni. Silvia Palombi e l’universalità dei ricordi

Pacchetti, cani e altre questioni. Silvia Palombi e l’universalità dei ricordi

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Pacchetti, cani e altre questioni” di Silvia Palombi, Qed Edizioni, 2024

I luoghi e i ricordi; la vita e quella “maledetta” necessità di tirare le somme per ritrovare, o sarebbe meglio dire “scoprire”, il senso profondo della matassa di avvenimenti che abbiamo vissuto.

È di tutti questo innamoramento per “ciò che è stato”, per l’assegnazione di un giudizio sul nostro percorso, per tutto ciò che continua a celarsi dietro le nostre scelte. È come se a un certo punto volessimo riacciuffare le diverse forme della nostra evoluzione, ricercando continuamente gli strumenti per riappropriarci del salvabile.

“Pacchetti, cani e altre questioni” di Silvia Palombi racchiude un po’ questo travaglio emotivo. Di fronte a noi c’è Vittoria, una donna con la sua esperienza; ci sono poi pacchetti e cani, soggetti-oggetti che scandiscono la sua traversata del mondo; ci sono le emozioni che ogni azione produce e sparge ovunque; c’è l’autrice con la sua ironia che molte volte si vela di sarcasmo.

Ogni categoria della materia e dello spirito viene qui rappresentata, ma alla stessa maniera tutto si unisce all’esperienza collettiva, rendendo questo libro “per me e per ciascuna cosa che è in me”. Il miracolo sta nel fatto che non è questo un memoriale, un esercizio di esaltazione del proprio dolore, della propria forza d’animo. No, questo romanzo atipico, che si confronta vis-a-vis con lo spazio e con il tempo, racconta la dimensione intima del quotidiano, quella in cui si raccoglie l’esistenza con le sue paure e le sue gioie.

Vittoria è una voce narrante, anche se tutto è in terza persona; magari non è neanche più di questo mondo, ma è già immersa in quell’Uno che ormai valuta ogni accadimento come “esempio dell’eternità”. Aleggia infatti tra queste pagine quell’amore verso Buddismo che, per forza di cose, colloca il protagonista e il suo punto di vista al di là della realtà e del suo deserto.

Vittoria vive e scandaglia ricordi, elenca per dare a sé stessa la possibilità di raccapezzarsi e di valutare quanto una certa “accettazione dei fatti”, che non vuole dire remissività, abbia contribuito alla sua crescita. In fondo, se nulla finisce qui e niente è solo ciò che ci sembra, allora è proprio in questa vita che possiamo iniziare la nostra “educazione all’altrove”.

Palombi fa questo parola dopo parola, lasciandoci liberi di seguire il racconto della sua Vittoria: una donna che semplicemente “narra” un’esperienza che non necessita di giudizi.

 

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